Il liberalismo non è morto, l'Occidente non si pianga più addosso

Vladimir Putin dice che l'Occidente è finito e i suoi, i nostri, valori sono entrati in fase terminale

Il liberalismo non è morto, l'Occidente non si pianga più addosso

Vladimir Putin dice che l'Occidente è finito e i suoi, i nostri, valori sono entrati in fase terminale. Non è il solo a pensarlo. Che la globalizzazione sia in crisi lo ammette anche l'Economist, che la necessità di far fronte a minacce globali abbia accresciuto più che mai il ruolo dello Stato è sotto gli occhi di tutti. Preso, pertanto, atto dell'insano fascino esercitato da vecchi imperi e nuove autocrazie su coscienze un tempo democratiche ormai consegnate alla demagogia dei populismi nazionali, anche molti occidentali danno per scontato che il liberalismo abbia le ore contate. C'è chi dice sia addirittura già morto. Una notizia prematura, se non una profezia che inclina all'eterogenesi dei fini.

Mi spiego meglio facendo a man bassa della bella intervista di Francesca Sforza al politologo nippoamericano Francis Fukuyama pubblicata dalla Stampa venerdì. Se i valori di libertà e democrazia fossero davvero così usurati non si spiegherebbe la fila di stati ex sovietici (Ucraina, Moldavia e Georgia) davanti all'uscio dell'Ue e alle trincee dell'Alleanza atlantica (Svezia e Finlandia). La democrazia liberale e l'umanesimo europeo esercitano ancora un potere attrattivo. Il liberalismo, dunque, è più forte di quel che si dice. Per consolidarlo, occorrerebbe prendere atto degli errori commessi dai liberali di destra e da quelli di sinistra, correggendoli. È stato un errore abbandonare le persone e le società occidentali alle dinamiche di un mercato privo di regole e di protezioni. Dice infatti Fukuyama che «il liberalismo va integrato, a vari livelli, con la democrazia sociale, così da equilibrare le ineguaglianze create dal capitalismo di mercato al fine di ridurre le disuguaglianze». È un errore cercare di «cancellare» le identità e le culture nazionali in nome di un astratto cosmopolitismo e di un irrealistico egualitarismo. Dice, infatti, Fukuyama che «il liberalismo è un progetto naturalmente inclusivo, ma se l'identità del gruppo diventa più importante dell'identità individuale - e si viene giudicati per appartenenza a una certa razza, religione o genere - ecco che si ricade nell'illiberalità». Identità nazionale e metodo liberale non sono, infatti, in contrasto. Anzi, possono alimentarsi a vicenda.

Il liberismo, così come l'autoritarismo e il cosmopolitismo, sono i loro avversari naturali: per confutare nei fatti le certezze putiniane basterebbe che le élite occidentali lo capissero, la smettessero di piangersi addosso e adattassero a questa consapevolezza la propria retorica pubblica.

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