L'incontro convocato a Mosca da Vladimir Putin per mettere nero su bianco una tregua militare in Libia non ha avuto per il momento i risultati sperati. Tutto è rinviato a oggi, dopo una pausa di riflessione che si è resa necessaria dopo l'emergere di contrasti più seri del previsto. Russia e Turchia, le due potenze che stanno lavorando insieme per diventare i garanti della futura pace e unità libica e spartirsi di fatto zone di influenza nel Paese nordafricano, sembrano infatti andare più d'accordo dei contrapposti fronti libici. Nella capitale russa il presidente del governo di Tripoli, Fayez al Serraj, e il leader dell'Esercito nazionale della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, si sarebbero dovuti incontrare per firmare l'intesa preparata da Mosca e Ankara, ma non tutto è andato come ci si aspettava: Serraj ha firmato la bozza dell'accordo ma si è rifiutato di incontrare Haftar («Siamo venuti qui per incontrare i russi e i turchi»), mentre il generale non ha voluto aderire a uno dei punti principali dell'intesa concordata per la tregua il ritiro delle sue truppe dalle posizioni conquistate alle porte di Tripoli e non ha per il momento firmato alcun documento, chiedendo tempo per analizzare la situazione.
Ovvio il disappunto di Mosca, espresso dal capo del gruppo di contatto russo per la Libia Lev Dengov con queste parole: «Difficile pensare di venire a Mosca per firmare un documento promosso da Russia e Turchia per poi non sottoscriverlo». Dengov si è però detto ottimista sul fatto che oggi Haftar firmerà, insistendo sul punto che «per il generale è importante continuare ad avere Mosca come alleata». Anche nell'eventualità, non così remota, che Haftar si impunti per non rinunciare al vantaggio militare che è riuscito a ottenere sul terreno in Tripolitania anche grazie al sostegno dei mercenari russi, la Russia e la Turchia continueranno la loro azione diplomatica in vista del prossimo incontro di domenica 19 a Berlino. La conferenza internazionale dedicata alla crisi libica nella capitale tedesca, ha sottolineato Dengov, non dipende dalla firma di Haftar e avrà luogo comunque.
Intanto da Ankara, dove si è recato per incontrare il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il premier italiano Giuseppe Conte ha cercato di proporre il ruolo del nostro Paese, che come l'Europa più in generale appare marginalizzato, sotto una luce diversa. «Non vogliamo ipotecare il futuro per bieco interesse ha detto Conte ma indirizzare il popolo libico verso l'autonomia. L'Italia non vuole un ruolo primario, ma far avviare la Libia verso una pace duratura ed elezioni». Un'Italia dunque amica del popolo libico e che non vuole intervenire in quel Paese per farvi i propri interessi calpestando quelli della gente del posto: «Se rivendichiamo un primato in Libia, è quello di facilitatori del processo di pace. Evitiamo atteggiamenti da tifosi da stadio e commenti di piccolo cabotaggio su questioni così complesse», ha aggiunto riferendosi alle critiche che sono state poste al suo governo per aver rinunciato a svolgere in Libia un ruolo di primo piano. Secondo Conte, il processo di stabilizzazione dev'essere condotto sotto l'egida dell'Onu, e di come si potrà ottenere un cessate il fuoco permanente si dovrà discutere a Berlino.
Prosegue intanto anche il viaggio del ministro degli Esteri Luigi di Maio nei Paesi limitrofi
alla Libia, nella convinzione che anch'essi Tunisia, Algeria ma anche lo stesso Marocco - debbano essere coinvolti nella conferenza di Berlino. Ieri Di Maio ha incontrato a Tunisi il neoeletto presidente tunisino Kais Said.
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