Licenziare lo statale si può

La lezione di Milei

Licenziare lo statale si può
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Ogni volta che in Argentina il presidente Javier Milei lascia a casa qualche statale, la reazione della stampa è un mix di scandalo e incredulità. E così su Il Fatto si parla di «macelleria sociale», mentre su Il Manifesto leggiamo «come i nuovi desaparecidos siano rappresentati oggi dai lavoratori licenziati». Aspettiamoci presto altri commenti di questo tenore, dato che Milei sta per tagliare la tassazione e per farlo deve ridimensionare la funzione pubblica.

Se in Italia suscita sconcerto che nei giorni scorsi a 2.300 dipendenti delle amministrazioni pubbliche non sia stato rinnovato il contratto la ragione è semplice. Per quanti sono dominati da logiche stataliste, ogni dipendente pubblico in più è un progresso. Se c'è un problema da affrontare, a loro giudizio bisogna scrivere una legge e assumere burocrati.

In realtà, è vero esattamente l'opposto, e non solo perché la produttività media di uno statale è assai inferiore di quella di un lavoratore privato. Ancor più importante è rilevare che ogni attività privata rimane in vita solo perché è «sociale»: se soddisfa il pubblico.

Un ristorante che lavora male e ha pochi clienti, dopo qualche mese sarà costretto a chiudere, mentre un esito simile non si ha quando un ufficio comunale o un distretto sanitario offrono servizi scadenti.

Contrariamente a quanto recitano troppe gazzette, allora, poche cose sono

tanto sociali come il licenziamento di chi si ritiene titolare del diritto a disporre vita natural durante di uno stipendio; e nessuna esperienza di governo può essere per noi un modello quanto lo è l'Argentina di Milei.

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