L'Ilva semi-paralizzata, è scontro sui tempi del piano

Altiforni a singhiozzo, produzione giù a 4mila tonnellate al giorno. Tensione Arcelor-Invitalia

L'Ilva semi-paralizzata, è scontro sui tempi del piano

Altoforni a singhiozzo e crollo della produzione. Taranto aspetta il piano industriale della svolta, ma l'Ilva è ancora una volta in piena emergenza.

Secondo fonti interne al polo siderurgico pugliese, «da almeno una settimana la produzione è letteralmente precipitata e gli altoforni 1 e 4 vanno a singhiozzo con fermate temporanee a rotazione». Questo perché un altoforno non può restare inattivo più di 48 ore e arrivare al punto di raffreddamento. L'ufficializzazione è arrivata ieri anche da Acciaierie d'Italia (ex Ilva) che lo ha comunicato ai sindacati metalmeccanici informandoli che «il problema sarà risolto in 24 ore». Il nodo si chiama però produzione e i numeri rivelati a Il Giornale sono il segno di un problema emerso ufficialmente ieri, ma che sa di emergenza. La causa? Anche su questo, è gallo. «Non vengono acquistate materie prime spiega la fonte e quindi la produzione è ridotta all'osso. Ieri abbiamo spento l'altoforno 4 che ripartirà oggi». I numeri parlano da soli. Ilva dovrebbe produrre in questo periodo 14-15.000 tonnellate al giorno di acciaio (per garantire 6 milioni di tonnellate annue) e in questo momento, secondo indiscrezioni, ne produce appena 4.000. Come è stato possibile un down di questa portata? Una fonte riferisce di una sorta di «cortocircuito negli acquisti che sarebbe imputabile al rialzo dei prezzi delle materie prime e alla limitate risorse».

Ma ieri la società si è affrettata a smentire: Acciaierie d'Italia di Taranto «smentisce che le fermate temporanee», di alcuni altoforni dello stabilimento di Taranto (ex Ilva) «siano dovute alla mancanza di materie prime». L'azienda precisa «che le medesime sono dovute solo a motivi impiantistici».

Il rimpallo delle responsabilità all'interno dell'azienda sta creando comunque nuove tensioni e c'è chi auspica che lo Stato acceleri la salita in maggioranza (ora Invitalia è al 50% dei diritti di voto di Acciaierie Italia ma dovrebbe salire al 60% a maggio 2022).

Questo anche per lo sviluppo e la realizzazione del nuovo piano industriale tanto atteso dal governo (e dal ministro per lo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti) a cui sta lavorando il cda presieduto da Franco Bernabè. Piano sul quale permane un certo stallo al momento per le interlocuzioni tra le parti che avrebbero due ipotesi diverse sul tavolo. Due piani molto simili, ma che avrebbero tempistiche molto diverse riguardo alla decarbonizzazione del polo di Taranto e al passaggio al gas: una più ravvicinata e caldeggiata da Invitalia, al 2028, e una più lunga, al 2033, sostenuta da Arcelor Mittal. Di fatto, però, resta l'impostazione che prevede la riconversione degli impianti dal carbone al gas con la possibile introduzione dell'idrogeno qualora si dimostrasse economicamente conveniente. Per quanto riguarda poi il coinvolgimento di società terze specializzate se ne poter parlare solo quando il governo salirà al 60% e ogni «ingresso» avverrà con bando pubblico.

Il progetto industriale originario prevede un target di 5 milioni di tonnellate di acciaio nel 2021, 6 nel 2022 e nel 2023, 7 nel 2024 e 8, a regime, nel 2025. Parallelo il calendario degli investimenti: 310 milioni quest'anno, 422 nel 2022, poi 433 nel 2023, 427 nel 2024 e infine 300 nel 2025. Ma almeno sul fronte produttivo gli obiettivi saranno sicuramente rivisti al ribasso.

Ieri intanto sono iniziati a Taranto gli incontri per entrare nel merito della nuova tranche di cassa integrazione ordinaria che l'ex Ilva ha fatto partire il 27 settembre, per 13 settimane, e riguarda 3.500 lavoratori.

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