Due le persone chiave, in Fiat, che l'Avvocato ha potuto ammirare all'opera solo da quel mondo sconosciuto nel quale si trova dal 24 gennaio 2003: Sergio Marchionne, che non ha mai potuto conoscere di persona e con il quale magari si intrattiene nell'Aldilà, e John Elkann, il nipote designato a guidare l'impero di famiglia dopo la prematura scomparsa di Giovanni Alberto, figlio del fratello Umberto. Dal 2003 a oggi la Fiat è cambiata tantissimo, fino a scomparire, come nome, dalla ragione sociale: dal 16 gennaio 2021 c'è Stellantis, frutto delle nozze tra Fiat Chrysler Automobiles (Fca) e gli amici francesi di Psa Peugeot. E Fiat, nel nuovo mega gruppo, resta solo un marchio, come Alfa Romeo, Lancia, Maserati, Peugeot, Citroën e gli altri otto della nuova famiglia allargata. Quello che anni fa non era riuscito a Marchionne, unire Fca a Psa, lo ha fatto Elkann dopo aver flirtato per pochi mesi con Renault. Marchionne, dunque, ha prima salvato Fiat dal fallimento, per poi assicurarle un futuro grazie alla fusione con Chrysler; il nipote dell'Avvocato, ora presidente di Stellantis ed espressione della galassia Agnelli, sta invece traghettando l'auto italiana verso un futuro sempre più globale dove elettrificazione, sostenibilità, digital, connettività e guida autonoma domineranno la scena.
Gianni Agnelli ha lasciato la vita terrena quando sulle strade circolavano solo veicoli a benzina, diesel e gas. L'anno precedente la sua scomparsa, il mercato italiano valeva oltre 2,24 milioni di immatricolazioni, ma le cose per Fiat Auto, oggetto di una profonda ristrutturazione, andavano molto male: -9,4% il fatturato, -11,1% le vendite, pesante anche la perdita operativa. A dare un po' di respiro era l'alleanza con Gm, siglata da Agnelli nel 2000, smantellata con tanto di benefici economici anni dopo da Marchionne, grazie alle efficienza sui costi di prodotto.
Ma sotto Fiat, a quei tempi, c'erano altri settori industriali e finanziari, tra cui quello dei camion Iveco, la stessa società che nei prossimi mesi potrebbe essere ceduta da Cnh Industrial, sempre nell'orbita Elkann, al colosso cinese Faw. Operazione che, seppur non ancora definita, sta già suscitando un vespaio all'interno del governo. Anche se il consolidamento e la globalizzazione sono all'ordine del giorno e passi obbligatori per poter affrontare le nuove sfide, soprattutto green, il fatto che Fca si sia unita ai francesi, con il rischio di perdere la sua identità, e che i cinesi mettano nel carniere un'altra blasonata preda italiana, continuano a innescare polemiche e a creare preoccupazione.
Eppure il nipote di Gianni Agnelli, in una recente intervista a La Stampa, ha chiaramente detto che «il nonno sarebbe stato contento dell'operazione Stellantis». «Fu proprio lui - ha aggiunto Elkann - a intuire prima degli altri che nel mondo dell'auto sarebbero rimasti 6 o 7 grandi player globali. E oggi, con Stellantis, siamo uno di questi». Lo stesso Elkann, adattando ai tempi attuali il pensiero del nonno Gianni, ha anche precisato, replicando al vespaio politico, che «il fatto di essere cresciuti molto nel mondo negli ultimi 20 anni, ha rafforzato anche le nostre attività italiane e lo sarà sempre più».
Agnelli è stato un grande appassionato di auto, non soltanto per aver fatto incetta di marchi - tra Lancia, Ferrari, Maserati, Autobianchi, Abarth e Alfa Romeo - ma per averne possedute di esclusive e personalizzate, anche appartenenti ad altri costruttori come la Bentley R-Type Continental Fastback azzurra metallizzata Fiat e interni color crema. La passione, fin da piccolo, lo ha portato a farsi ritrarre al volante della cosiddetta «Baby Bugatti», quella Tipo 52 realizzata per bambini e dotata, guarda caso, di motore elettrico (oggi sarebbe un must). Ha guidato tante Ferrari, Maserati e ovviamente - e soprattutto - Fiat. Già, la Ferrari. Chissà cosa direbbe ora che il nipote, uscito di scena Luca di Montezemolo e scomparso Marchionne, è il numero uno anche del Cavallino rampante.
Tra l'Avvocato e il Drake, è riconosciuto, i rapporti erano molto buoni, tanto che nel giugno 1969 Agnelli ricevette Enzo Ferrari, arrivato a Torino con il figlio Piero, per mettere nero su bianco il sostegno di Fiat alla Casa di Maranello, a quei tempi in difficoltà e con Ford pronta a papparsela. «È bastata una stretta di mano per siglare l'accordo che confermava la piena autonomia del Drake nelle corse», raccontò l'Avvocato a Enzo Biagi. Il 50% di Ferrari passò così a Fiat, il 40% rimase al Drake e il 10% al figlio Piero, quota che detiene tuttora. Solo nel 1988, arrivò l'annuncio del Lingotto di avere in portafoglio il 90% del Cavallino, come dal patto tenuto nascosto da Agnelli e Ferrari fino alla morte di quest'ultimo.
Chissà cosa direbbe l'Avvocato se per un istante dovesse tornare nella sua Torino: i Peugeot entrati ufficialmente nella famiglia, le auto elettriche, presto la prima Ferrari pure elettrica, Iveco sulla Via della Seta, i taxi-robot, i monopattini...
Negli anni '70, Agnelli pronunciò una frase rimasta storica: «Ciò che vale per la Fiat, vale per l'Italia». In pratica, un invito perentorio (ricambiato), ai governi di quell'epoca affinché favorissero la prima industria automobilistica del Paese. Ma erano altri tempi. Quella Fiat non c'è più.
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