L'imprenditrice libanese: "Che inferno tra disagi costi e paura costante"

Lo sfogo di Joumana Rizk: "Incertezza su tutto. Viviamo con i nervi a fior di pelle"

L'imprenditrice libanese: "Che inferno tra disagi costi e paura costante"
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Joumana Rizk è una imprenditrice libanese, produce ed esporta frutta, in particolare uva. Ha i suoi terreni nella valle della Bekaa, zona controllata da Hezbollah. Non nasconde preoccupazione sia per la sua attività che per la vita quotidiana a Beirut. Tutti vivono in attesa di una reazione israeliana. «È più di una guerra di soli missili e bombe, è una guerra psicologica - esordisce - Siamo con i nervi a fior di pelle da ottobre, sempre con la paura e il dubbio se Israele colpirà oppure no. Ancora di più da quando hanno ammazzato a Beirut Fouad Shukr. Pensavamo che Beirut fosse una linea rossa, così avevano detto gli Stati Uniti a Israele, invece non è stato così. Non hanno colpito solo Shukr sono crollati tre piani dell'edificio in cui si trovava. Qualche giorno fa i jet israeliani hanno sorvolato Beirut, erano molto bassi, si sono sentiti boati fortissimi».

La guerra strisciante rende sempre più difficile la sua attività di imprenditrice: «Viviamo in un clima di incertezza. Per esempio, mia sorella voleva fare un pozzo nei nostri terreni nella valle della Bekaa. Ma per farlo serve una macchina che potrebbe essere scambiata dagli israeliani per un'arma; quindi, non abbiamo trovato nessuno che abbia accettato di fare questo lavoro, perché la Bekaa è una zona gestita da Hezbollah e tutti avevano paura di qualche reazione». Ma i problemi non si fermano qui. «Non ci sono molti voli ed è difficile esportare via aereo la merce. Per noi che mandiamo la nostra frutta in Inghilterra e nei Paesi europei, le assicurazioni sono aumentate e ci sono alcune che non accettano più di coprire il rischio guerra, e quindi il trasporto via mare è diventato caro, i nostri costi sono esplosi e non si può recuperare con il prezzo di vendita. Questa settimana non andrò nella Bekaa perché non vorrei che gli israeliani colpissero lì, il sud o la periferia di Beirut, Dahieh. Aspetterò di vederci più chiaro». A complicare la vita e il lavoro ci sono anche i disagi con i trasporti. «Chi ha delle fiere aspetta, perché le compagnie hanno smesso di volare su Beirut. C'è solo la Middle East Airlines e la Turkish Airlines. Tutti i voli in partenza da Beirut sono pieni, ma nessuno fa ritorno. I pochi biglietti che si riescono a trovare sono carissimi. Alcuni vanno in macchina in Giordania, tramite la Siria, un viaggio di più di 9 ore, per arrivare ad Amman e poter prendere un aereo da lì. Oppure ci sono navi che partono da Jounieh per Cipro, il viaggio costa mille dollari a testa, e poi da Larnaka si prende un volo». Anche altri settori economici non sono messi bene. «Per esempio, l'intrattenimento, la ristorazione o l'attività alberghiera. Chi era venuto in Libano per le ferie le ha accorciate per scappare. Le ambasciate hanno chiesto ai loro cittadini di abbandonare il Paese, anche quella italiana.

I Festival sono stati cancellati, tranne quello di Byblos che ha lasciato solo artisti arabi, ma Baalbek, Beiteddine non si faranno». E la vita di tutti i giorni come procede? «La gente è stressata, però molti continuano a uscire. I ristoranti sono pieni, le persone vogliono andare a ballare. Proprio come se fosse la loro ultima serata».

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