Il premier Conte cerca di cavarsela con le solite vaghezze: faremo un tavolo, discuteremo, troveremo una soluzione.
Ma sul pasticcio prescrizione, il capo del governo si trova con le spalle al muro: pressato da un Pd seccato per la sua passiva inconcludenza che ha lasciato vasto spazio alla fronda renziana; ricattato dai Cinque Stelle in crisi di nervi che già assaporano l'amara sconfitta ma non vorrebbero essere umiliati; terrorizzato dai numeri in Parlamento. «Invito tutti a non restare abbarbicati su petizioni di principio», è la supplica che Conte rivolge alla maggioranza, e in particolare al Guardasigilli grillino.
Senza una soluzione rapida, la maggioranza è destinata a sfracellarsi in Senato, sul Milleproproghe, sul decreto intercettazioni (cui verrà agganciato un altro emendamento pro prescrizione) o sulla Pdl dell'azzurro Costa che abolisce la «riforma» Bonafede e ripristina la prescrizione, che arriverà in aula il 24 febbraio, e che i renziani sono pronti a votare.
Ieri, a Montecitorio, è iniziato l'esame in commissione del decreto Milleproroghe, cui è abbinato l'emendamento di Italia viva che congela la legge grillina per un anno. Prudentemente, dunque, il capitolo giustizia, emendamento Annibali incluso, è stato accantonato e rimandato a tempi migliori, in attesa del chiarimento in maggioranza. Che i Dem chiedono si svolga subito, già oggi: «Basta temporeggiare», è il messaggio al premier.
Nel Pd non nascondono l'irritazione: «Fin qui Conte ha solo chiacchierato, e l'unica soluzione che ha provato a proporre, il famoso lodo Chigi, era una toppa peggiore del buco, e pure incostituzionale. Si decida a prendere Bonafede e spiegargli che prima cede e meno si copre di ridicolo», sbotta un parlamentare che segue il dossier. E il capogruppo in commissione Alfredo Bazoli batte sullo stesso tasto: «Possiamo anche riuscire a bocciare in aula la proposta Costa - osserva - ma la questione tornerà. Finché non ci sarà un accordo politico, il tema tornerà sempre ogni volta che ci sarà un provvedimento sulla giustizia». A mostrarsi ottimista è proprio Costa: «Ogni giorno che passa la posizione del Guardasigilli si fa meno granitica. Non può permettersi che la sua riforma, contestata dal mondo intero, affondi in aula. E soprattutto non può permetterselo Conte: a breve Bonafede dovrà fare dietrofront».
Al Nazareno cova la rabbia anche verso Matteo Renzi. L'ex premier ha cambiato le carte in tavola, impugnando con tempismo la bandiera del garantismo e spiazzando un Pd impegnato da mesi, senza risultato, nel tentativo di trovare un compromesso che non disturbasse troppo i Cinque Stelle. Prendendosi gli applausi dei penalisti in rivolta contro la riforma Bonafede (e si tratta di un bacino elettorale che i Dem temono di veder sfuggire) e anticipando le durissime critiche dei vertici della magistratura. Di qui il pressing su Conte perché lavori a una soluzione che non lasci a Italia Viva tutto il merito di aver sventato il colpo di mano dei Cinque Stelle, che infatti attaccano a testa bassa Renzi.
Il quale però ribadisce di essere
disposto ad andare fino in fondo: non a caso ieri, nel Consiglio regionale della Lombardia ha approvato una mozione presentata da Fi a sostegno della pdl Costa, con il sì di Italia viva e di +Europa. Il Pd si è astenuto.
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