L'inevitabile trappola dei social

Essere pagati per lasciare in massa i social network: una trappola collettiva?

L'inevitabile trappola dei social
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Mettiamo che vi pagassero per lasciare i social, tipo Instagram o Facebook, lo fareste? Certo, direte voi, dipende da quanto. È un tema di cui si discute da mesi, e gli economisti Leonardo Bursztyn, Ben Handel e Rafael Jiménez hanno definito i social una «trappola collettiva». È strano perché se avessi fatto questo discorso 10 anni fa mi avrebbero dato del boomer o del passatista, ma la ricerca degli economisti si basa su un esperimento fatto su giovani studenti, a cui sono stati offerti 50 dollari per vivere un mese senza Instagram e Tik Tok. Certo che sono tirchi questi ricercatori, offritegli almeno 10mila euro per un anno. In ogni caso non è questo il punto. Piuttosto, qui viene il bello, gli stessi studenti sarebbero stati disposti a pagare, anziché essere pagati, se tutti avessero chiuso i loro social (inclusi se stessi, va da sé, altrimenti che ci fai da solo su un social dove ci sei solo tu).

Trappola collettiva non lo so, perché mi sembra la solita solfa marxista anti-capitalista e antimoderna e anti-tecnologica, e io sono capitalista e moderno e tecnologico (toglietemi tutto ma non il wi-fi), però è interessante l'idea emersa del tana libera tutti: se non ci sono gli altri va bene, che potrebbe dimostrare un certo disagio, un doverci stare per forza. C'è stato poi recentemente il caso dell'esperimento tentato da Tik Tok in Spagna, pagare chi lo usa di più, bloccato dall'Ue perché avrebbe incentivato la dipendenza, contribuendo a allevare ragazzini che scrollano Tik Tok come scimmie non umane (specifico sempre scimmie non umane, perché molti ignorano che le grandi scimmie antropomorfe sono cinque: orango, scimpanzé, gorilla, bonobo e uomo, per cui dire «discendiamo dalle scimmie» non ha biologicamente alcun senso, è come dire che lo scimpanzé discende dall'uomo).

Fatto sta che ho visto i nostri cugini scimpanzé a cui è stato dato uno smartphone con Instagram, e scrollavano esattamente come facciamo noi, solo che si soffermavano solo sui contenuti che gli interessavano, mentre noi ormai scrolliamo annoiati storie altrui di cui non ci importa un tubo. Che però, a ben vedere, è un problema che riguarda internet in generale, ossia l'uso che se ne fa: puoi cercare ogni tipo di informazione, puoi leggere di tutto, ma accedi tanto al sapere quanto all'ignoranza, tanto a un'informazione scientifica provata quanto a una fake news che conferma i tuoi bias cognitivi.

Tuttavia, a proposito di scimmie, e della dipendenza da social, e dell'esperimento citato, ho chiesto un parere a uno dei nostri più grandi scienziati, Giorgio Vallortigara, il Freddie Mercury delle neuroscienze (negli anni '80, quando era ancora studente e non famoso a livello internazionale come ora, portava perfino i baffi come Freddie): «Mi fa venire in mente quello che dice Richard Dawkins per spiegare i cori di scimmie urlatrici in Amazzonia: «ciascun animale urla a più non posso nella foresta per cercare di convincere le altre scimmie a limitare le nascite perché siamo già tantissime qui.

Poiché ciascuna scimmia adotta la medesima strategia la tattica di inganno è inefficace ma, nondimeno, nessuna scimmia può esimersi dall'urlare: potrebbe smettere solo se lo facessero anche tutte le altre». Che dire? Seguitemi su Instagram.

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