L'insostenibile acido dei forcaioli

Viva la satira. Abbasso il bigottismo. Però a tutto c'è un limite. Rievocare nella memoria collettiva un fatto tremendamente tragico e usarlo per attaccare un ministro è un'operazione meschina

L'insostenibile acido dei forcaioli

Viva la satira. Abbasso il bigottismo. Però a tutto c'è un limite. Rievocare nella memoria collettiva un fatto tremendamente tragico e usarlo per attaccare un ministro è un'operazione meschina. Si potrebbe pure sostenere che il fine giustifica i mezzi, ma in questo caso il fine squalifica la satira. Che diventa penosa e inopportuna riesumazione di un dolore. Non solo per chi ha sofferto per quella vicenda perché coinvolto direttamente, ma anche per chi si imbatte nella grafica firmata Mannelli e apparsa sulla prima pagina del Fatto quotidiano di ieri.

Nel disegno si vede il faccione di Carlo Nordio liquefarsi e sopra la parafrasi: «Per dimostrare che la mafia non è poi questo granché e che la batteva quando voleva, riuscì a sciogliersi nell'acido che aveva in corpo». Boom. Impossibile non andare con la mente a uno degli omicidi più efferati ordinati dal boss Matteo Messina Denaro: quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, la cui unica colpa fu quella di essere figlio del pentito Santino. Il ragazzino aveva 12 anni e venne strangolato e sciolto nell'acido dopo quasi due anni dal suo rapimento avvenuto il 14 novembre 1993.

La teoria del giornale diretto da Travaglio, che da giorni tuona contro il Guardasigilli reo di aver annunciato una non gradita riforma della giustizia e una non gradita stretta alle intercettazioni, sarebbe dunque questa: Nordio pensa di essere così onnipotente nel combattere la mafia che quasi come un mago si fa sparire per manifestare il suo potere. Al netto della discutibile teoria e del contorto sillogismo che spiegherebbe la vignetta, è proprio quella parola che stride: acido. Come l'acido nitrico che dissolse il piccolo Giuseppe. Quindi davvero Nordio sarebbe da paragonare a Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano e Giovanni Brusca? E, seguendo l'equazione, chi rischierebbe di fare la fine del figlio di Santino?

La verità è che quando per difendere una legittima seppur non condivisibile tesi si utilizzano parallelismi azzardati e inopportuni il disegno viene male, la satira diventa agra e beffarda, la bocca si storce e la mente si domanda: perché? Non è dato sapere.

E la confusione aumenta se si pensa che il ministro della Giustizia, quattro giorni fa aveva pure precisato in Aula che: «Nessuno vuole toccare le intercettazioni per reati di mafia e terrorismo e anche per reati satelliti di questi fenomeni perniciosi e se non si spiegano queste cose continuerà un dialogo tra sordi». Eppure evidentemente c'è qualcuno che non vuole sentire.

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