Più che preoccuparsi della rappresaglia ora la Suprema Guida Alì Khamenei e il resto dei vertici iraniani devono prestar attenzione alla propria sicurezza personale. L'uccisione di Ismail Haniyeh ha dimostrato, se ancora ce n'era bisogno, che Israele è non solo in grado di bucare lo spazio aereo della Repubblica Islamica, ma anche di dribblare la sua sicurezza interna.
Per dirla in parole povere, Teheran si ritrova in completo stallo. Se anche riuscisse a metter a segno l'agognata vendetta contro Israele rischierebbe di non poter garantire la sicurezza della propria dirigenza politica che rischierebbe la stessa fine riservata ad Haniyeh. Una minaccia peraltro già resa evidente nel 2020 dalla spregiudicatezza con cui Israele eliminò lo scienziato Mohsen Fakhrizadeh, artefice del suo programma nucleare. Dunque di una cosa possiamo star certi. Le promesse di un'imminente vendetta resteranno nell'immediato pura propaganda.
C'è però un'opzione umanamente obbrobriosa, ma pagante nei confronti del governo del premier Benjamin Netanyahu. Quell'opzione prevede la richiesta ai vertici di Hamas nella Striscia di trasferire il peso della vendetta sugli ostaggi ancora nelle loro mani. Nei prossimi giorni rischiamo dunque di assistere alla diffusione di video sull'esecuzione o sulla tortura di prigionieri israeliani da parte di Hamas. L'operazione risulterebbe politicamente neutra per Teheran in quanto le autorità della Repubblica Islamica potrebbero dichiararsi estranei alle sevizie inflitte agli ostaggi. Dal punto di vista di Hamas la brutale rappresaglia potrebbe venir giustificata (per chi è disposto ad accettare simili giustificazioni) con il fatto che Israele uccidendo Haniyeh - ovvero l'uomo da cui dipendevano i negoziati condotti attraverso il Qatar - ha di fatto rinunciato a salvare la settantina di ostaggi ancora in vita. Trasmettendo quell'ordine ad Hamas la Repubblica Islamica punterebbe ovviamente a suscitare l'ira dell'opinione pubblica israeliana e ad affossare un governo Netanyahu responsabile del via libera all'uccisione di Haniyeh in quel di Teheran.
Ovviamente resta da vedere quale sia ancora la capacità di Teheran di concordare azioni comuni con l'ala militare e la dirigenza politica di Hamas. Ricordiamoci che non più tardi del 13 luglio Israele ha colpito un sito in cui si trovava Mohammed Deif, l'imprendibile capo delle Brigate Qassam considerato l'uomo più vicino a Teheran. E ad oggi nessuno è in grado di dire se Deif sia sopravvissuto alle esplosioni.
L'altro grande obbiettivo di Israele, ovvero Yahya Sinwar, leader di Hamas a Gaza, è spesso tagliato fuori da qualsiasi comunicazione per evitare le intercettazioni di chi lo vuole morto. Inoltre Hamas sa bene che rinunciando alla carta ostaggi non avrebbe più alcun modo di garantirsi né un cessate il fuoco, né una via di fuga per la propria dirigenza politica e i propri militanti. Dunque anche la delega ad Hamas della rappresaglia potrebbe risultare incerta.
Gli altri comprimari mediorientali della Repubblica Islamica non offrono opzioni e garanzie migliori. Hezbollah, che solo martedì sera ha visto un missile israeliano incenerire Fouad Shukr, uno dei suoi più importanti comandanti militari, sa bene di rischiare un'invasione del Sud del Libano e pesanti bombardamenti sui suoi quartieri generali a Beirut. Da parte loro gli Houthi possono colpire dallo Yemen con qualche drone o missile, ma senza garantire troppe certezze. Mentre i «pasdaran» presenti in Siria hanno già dimostrato di essere più un bersaglio che una minaccia. Per questo l'opzione migliore di Teheran in questo momento è sopravvivere.
E soprattutto tenere al sicuro i siti dove i suoi scienziati lavorano allo sviluppo dell'arma nucleare. L'unica arma capace - al momento - di restituirle il compromesso «status» di potenza regionale e di principale avversario d'Israele.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.