I colloqui tra l'Iran e gli Usa, con la mediazione dei Paesi europei, Russia e Cina, per il ritorno di Washington nell'intesa del 2015 e la revoca delle sanzioni, sono ripresi ieri, il giorno dopo l'elezione dell'ultraconservatore Ebrahimi Raisi a presidente dell'Iran. Da aprile, Teheran e gli altri firmatari stanno cercando di trovare un terreno comune per mantenere vivo l'accordo. L'incontro di ieri rientra nella sesta tornata di colloqui iniziata il 12 giugno. Dopo l'annuncio ufficiale della vittoria di Raisi, Washington ha criticato il voto. Lo ha definito «né libero, né equo», anche per la scarsa affluenza, la più bassa dalla Rivoluzione islamica del 1979. Ma ha assicurato che continuerà a impegnarsi nei negoziati a Vienna.
Il ministro degli Esteri uscente iraniano Javad Zarif ha espresso ottimismo e ha fatto trapelare che un accordo potrebbe essere possibile anche prima che il nuovo presidente si insedi ad agosto. «C'è una buona possibilità che raggiungeremo un accordo prima della fine del nostro mandato», ha detto Zarif. Il vice ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, capo negoziatore ha sottolineato: «Siamo vicini a un accordo», le parti hanno svolto finora «un lavoro intenso». «Tutti i documenti sono quasi pronti - ha poi aggiunto - e i negoziatori sospenderanno i colloqui per alcuni giorni per ritornare alle loro capitali per le decisioni da prendere».
La nuova leadership oltranzista, tanto più se con il nuovo accordo le sanzioni saranno sospese, preoccupa Israele e il premier Naftali Bennett. L'elezione di Raisi alla presidenza dell'Iran «è un campanello di allarme» per il mondo intero, ha avvertito: «Per quelli che hanno dubbi, non è stata la gente a eleggerlo ma - ha aggiunto - la guida suprema ayatollah Ali Khamenei ha permesso la sua nomina. Hanno eletto il carnefice di Teheran». A giudizio di Bennett questa potrebbe essere l'ultima occasione per l'Occidente per «capire con chi ha a che fare» prima di ritornare «all'accordo sul nucleare». «Un regime di carnefici non può avere - ha concluso - armi di distruzione di massa».
L'accordo del 2015 voluto dall'amministrazione Obama ha stabilito limiti al programma nucleare civile iraniano per impedire a Teheran di sviluppare bombe atomiche. In cambio la Repubblica islamica ha ottenuto la revoca delle sanzioni internazionali. Il ritiro degli Stati Uniti di Donald Trump nel 2018 e il ripristino delle sanzioni hanno inferto un duro colpo all'intesa e alla economia dell'Iran. Teheran ha risposto violando le parti dell'accordo. Un recente rapporto dell'Aiea ha confermato che l'Iran dispone già di circa 3.200 chilogrammi di uranio arricchito, invece dei 300 consentiti.
Inoltre, Teheran è riuscita ad arricchire l'uranio fino a una purezza del 60%, ben al di sopra del consentito (3,67%) e vicino al livello necessario per realizzare ordigni nucleari (90%). Il nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, vuole rientrare nell'accordo, ma chiede che prima l'Iran rispetti tutti i suoi obblighi. Teheran invece chiede una revoca delle sanzioni prima di tornare a rispettare l'intesa. Su chi per primo farà la mossa per superare l'impasse vertono i colloqui in corso.
Raisi, nonostante si sia schierato con le frange più estremiste del suo Paese fermamente contrarie all'accordo nucleare, nella sua campagna ha promesso di lavorare per la riduzione delle sanzioni e ha affermato che avrebbe rispettato qualsiasi impegno preso dalla precedente amministrazione, incluso l'accordo sul nucleare o Jcpoa.
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