Non è la prima volta che provano a tirare il Papa per la tonaca. Ormai, il Pontefice, se ne sarà fatto una ragione. Era accaduto con alcuni partiti politici italiani che lo avevano eletto a paladino della sinistra, cercando di trascinarlo appunto dalla propria parte e accade ancora oggi, in un contesto internazionale ben più delicato.
La notizia arriva dall'Iran perché venerdì il Papa ha ricevuto il rettore dell'università delle Religioni e delle Denominazioni di Qom, nella Repubblica Teocratica Islamica, Abolhassan Navab. Il professore, luminare molto stimato nel mondo accademico che già nel 2015 aveva accettato una collaborazione con la Pontificia Università Lateranense per uno scambio culturale tra studenti, citato dall'agenzia di stampa iraniana Irna, ha riferito che: «Non abbiamo problemi con il popolo ebraico, ma con gli assassini». Fin qui nulla di nuovo. Se non fosse che, sempre il rettore ha aggiunto che anche Francesco sarebbe sulla sua stessa linea e che durante l'udienza avrebbe detto: «Nemmeno noi abbiamo problemi con gli ebrei, il nostro unico problema è con Benjamin Netanyahu, che ha causato la crisi nella regione e nel mondo senza prestare attenzione alle leggi internazionali e ai diritti umani. È necessario che le assemblee internazionali pensino rapidamente a una soluzione».
Il fatto che il luminare iraniano si sia affrettato a far sapere Urbi et Orbi il presunto pensiero del Pontefice, espresso peraltro privatamente, è quantomeno sospetto, sembra quasi che, su «consiglio» di qualcuno, si voglia far passare l'idea che Francesco sia più vicino alle posizioni iraniane che a quelle israeliane. Per carità, non per qualche strategia anti-papale, considerato che a Teheran sanno bene che Francesco è uno dei pochi ad avere buoni rapporti con i leader religiosi sciiti, tra cui l'ultranovantenne grande ayatollah Al-Sistani che risiede in Irak, ma magari semplicemente per un'azione di disturbo verso il «piccolo Satana» e per rinfocolare le polemiche sulla crisi in Medioriente, che non fa mai male. Peccato che in questo gioco si tiri in mezzo anche il Pontefice che, invece, dall'attacco di Hamas del 7 ottobre continua a fare appelli per la liberazione degli ostaggi israeliani e, al contempo, perché si fermino i bombardamenti su Gaza e si risparmi la popolazione innocente. «Il Papa non è contro Israele e non è nemmeno antisemita, non scherziamo!», commenta a Il Giornale una fonte della diplomazia vaticana che chiede di rimanere anonima, «il Papa sta dalla parte della gente e ha sempre sostenuto pubblicamente che un cattolico non può essere antisemita. In tanti ancora non riescono a capire che il Papa, in quanto leader morale e spirituale, non ha interessi strategici, politici o territoriali. Ciò che interessa al Santo Padre è il rispetto della dignità di ogni essere umano, israeliani o palestinesi. Sappiamo che la soluzione dei due Stati è ciò che risolverebbe definitivamente ogni problema». Le presunte parole di Francesco su Netanyahu non sono state commentate dalla Santa Sede e nemmeno dal governo israeliano o dai rappresentanti delle comunità ebraiche che, però, già in diverse occasioni, hanno espresso indignazione per delle prese di posizione del Pontefice.
A scatenare l'ira di diversi rappresentanti del mondo ebraico erano state, ad esempio, le affermazioni pubblicate in un libro uscito nel mese di novembre, La speranza non delude mai; il Papa nel volume, parlando della situazione in Medioriente ha detto: «A dire di alcuni esperti ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se s'inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali».
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