L'Italia incarna la discordia che piace a Putin

La giornata di ieri racconta senza bisogno di tante parole la polverizzazione della sinistra. "Non perdiamoci di vista" ha sussurrato Michele Serra nella piazza dei cinquantamila "europei" a Roma

L'Italia incarna la discordia che piace a Putin
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La speranza di Putin è strappare l'Europa metro a metro, gettare discordia non solo tra i vari governi europei, ma in profondità, dentro le coalizioni, all'interno dei partiti, frammentando alleanze politiche e culturali. Questa non è semplicemente guerra sporca. È una rivincita e il sale del suo pensiero, una convinzione che da anni monta sempre di più e si riassume in poche parole: le democrazie sono vecchie e ridicole. È quello che si legge ogni giorno sui giornali russi e in quelli sparsi qui e là vicini a lui. Se prima si predicava contro le miserie, anche morali, dell'Occidente, adesso ci si concentra sulla fragilità emotiva dell'Europa. La zizzania è il più fedele alleato di Putin. È roba antica.

Questo accade in ogni angolo del vecchio continente ma per chi vive in Italia sembra ancora più evidente, come se qui si incarnassero i desideri più forti del padrone russo del caos. Forse è solo un impressione, un effetto ottico dell'osservatore troppo vicino, fatto sta che l'effetto è biblico, una torre di Babele dove si affannano, sparsi e contromano, genti di destra e di sinistra. Gli spicchi di mele avvelenate sono sparpagliati sui tavoli dei partiti di maggioranza. Così hai Antonio Tajani che rivendica l'orgoglio europei, Giorgia Meloni che invita a ricostruire il ponte transatlantico indispensabile per un'idea di Occidente e Matteo Salvini che vede nei progetti di difesa europea solo un modo per arricchire le aziende francesi e tedesche. Si tratta di sfumature più o meno profonde che non mettono ancora a rischio il governo, ma sono segni sul volto che finiranno per lasciare cicatrici. La premier si prepara a chiedere a tutti i partiti, anche quelli dell'opposizione, ad andare oltre la quotidiana dialettica politica e, davanti a una situazione così grave, pensare al bene dell'Italia. È quello che servirebbe, ma con chi confrontarsi? Con chi dialogare?

La giornata di ieri racconta senza bisogno di tante parole la polverizzazione della sinistra. «Non perdiamoci di vista» ha sussurrato Michele Serra nella piazza dei cinquantamila «europei» a Roma. La pioggia li ha appassiti. Qui ci sono le bandiere blu con le stelle a circolo di un Pd e dintorni «stranamente» spaesato. Carlo Calenda, sempre lì ma un po' più a destra, porta al collo la bandiera Ucraina. Nicola Fratoianni, cuore rosso e verde, sbandiera nei suoi profili ufficiale l'arcobaleno della pace, che in teoria sarebbe universale, ma di fatto è il segno di chi in questo momento preferisce non sentire e non vedere. L'immagine più forte arriva dalla «contromanifestazione» di piazza Barberini, organizzata da Potere al Popolo e Rifondazione comunista, dove per sacramentare contro tutti i guerrafondai, e con insulti alla Meloni, si sono messi a bruciare la bandiera dell'Europa. C'è sempre qualcuno che in nome della pace brucia la sua presunta bandiera. È la malattia che non passa.

Si potrebbe dire: è l'Italia. Gli altri non sono come noi. No, non è così. Gli europei in questo si assomigliano tutti. Putin, e pure Trump, ci stanno puntando senza esitazioni: l'Europa è una baraonda di voci che qualcuno ha messo in giro.

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