Andrà a caccia di pianeti ospitali per la vita al di fuori del sistema solare. E lo farà con gli occhi dell'Italia, che del satellite Cheops, lanciato ieri dalla base di Kourou nella Guyana Francese, ha realizzato il telescopio grazie a una collaborazione tra università e industria. Il «cacciatore di esopianeti» è in orbita da ieri pomeriggio, dopo un primo rinvio dell'esordio, due giorni fa, a causa di un problema tecnico al software del lanciatore. Poi, finalmente, il «decollo» di ieri mattina, alle 9.54 ora italiana.
Il satellite gestito in partnership dall'Agenzia spaziale europea (Esa) e dalla Svizzera non è partito da solo dal centro spaziale affacciato sull'oceano Atlantico. Con lui c'erano altri satelliti - con altrettanti contributi italiani - che permetteranno nei prossimi anni di raccogliere sempre più informazioni sulle caratteristiche dello spazio che ci circonda. A bordo della sonda russa Soyuz c'era infatti anche il primo satellite della seconda generazione del programma duale (civile e militare) Cosmo SkyMed, gestito dell'Agenzia spaziale italiana (Asi). Missione: osservare la Terra nel modo più minuzioso possibile, per prevenire i disastri naturali, proteggere l'ambiente e il patrimonio archeologico, ma anche per la sicurezza nazionale e la gestione delle infrastrutture. Con i satelliti cosiddetti di seconda generazione - che gradualmente andranno a sostituire i quattro della prima, attualmente operativi - la risoluzione delle immagini del nostro Pianeta sarà maggiore, la trasmissione dei dati più veloce e le prestazioni migliori e più flessibili. Per citare le parole del presidente dell'Asi Giorgio Saccoccia, la nuova costellazione Cosmo SkyMed «conferma un'eccellenza tecnologica italiana riconosciuta a livello mondiale e rafforza la leadership del nostro Paese nel settore dell'osservazione della Terra e dei suoi servizi e applicazioni quale efficace strumento di crescita economica e benessere sociale». A concludere la piccola folla partita ieri con la Soyuz ci sono anche tre «cubesat», tre minisatelliti: si tratta di due creature dell'agenzia francese Cnes e una dell'Esa, l'Ops-Sat, dotata del più potente computer mai andato in orbita.
Ma a bordo del vettore spaziale russo, per dirla con una metafora, c'era anche tanta Italia. Il sistema Cosmo SkyMed, nato nel 2007 da un accordo tra il ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca e quello della Difesa, è realizzato da Thales Alenia Space Italia e Telespazio con il contributo di Leonardo e di diverse piccole e medie imprese del nostro Paese. Idem per Cheops, i cui «occhi» - cioè il telescopio da 30 centimetri di diametro con cui il satellite osserverà per i prossimi tre anni quali, tra gli esopianeti finora noti, hanno caratteristiche tali da poter ospitare la vita - è stato progettato dai ricercatori dell'Istituto nazionale di astrofisica delle università di Padova e di Catania e poi costruito da Leonardo, Thales Alenia Space Italia e altre pmi tricolori. Per Alessandro Profumo, amministratore delegato di Leonardo, «la nuova generazione di satelliti rappresenterà il meglio delle capacità di osservazione della Terra a servizio di istituzioni e cittadini italiani ed europei» e il telescopio made in Italy «fornirà dati e informazioni unici alla comunità scientifica internazionale».
Ma non finisce qui: nell'agenda italiana sono già fissati nuovi appuntamenti con lo spazio nel futuro prossimo. A lanciare il secondo (di quattro) dei nuovi satelliti Cosmo SkyMed, alla fine del 2020, ci penserà il vettore europeo a leadership Italiana Vega C, costruito in Italia dalla Avio.
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