Eppur si muove. Con il «dossier semplificazioni» il governo ha deciso di varare («quando» lo saprà il buon Dio) dieci disegni di legge in svariati ambiti fra i quali fan capolino i patti prematrimoniali.
Non si tratta di una svolta storica in quanto, già in passato, il tema in questione si è palesato fra gli incartamenti discussi nelle segrete stanze dei nostri «palazzi del potere», senza però che la montagna abbia ancora partorito nemmeno il metaforico topolino. Topolino di cui ci accontenteremmo - beninteso - a condizione che qualcosa finalmente venga fatto, allineando così il nostro Paese a legislazioni più mature che già prevedono queste forme di accordi fra coniugi, volte a pre-regolare i rapporti patrimoniali in occasione della separazione, così prevenendo le aspre liti che scaturiscono, quasi sempre, in siffatte ipotesi.
L'utilità di questi patti è intuitiva, soprattutto laddove, oggi, non vi è alternativa a devolvere alle autorità giudiziarie la definizione delle vaste problematiche che si generano nel caso di rottura del nucleo familiare, con l'ulteriore complicazione che i giudici delle separazioni e dei divorzi conservano una competenza limitata, riservando al Tribunale ordinario di dirimere le questioni più strettamente «patrimoniali» legate a pretese che non abbiano a che fare con il cosiddetto contenuto necessario dei provvedimenti separativi o divorzili.
Senza entrare nel «tecnico», che provocherebbe comprensibili mal di testa ai non addetti ai lavori (e spesso persino agli avvocati), si pensi alla portata «deflattiva» dei contenziosi se fosse possibile, per gli sposi, determinare in anticipo, in via del tutto esemplificativa, l'importo in un'unica soluzione da liquidare ad un coniuge, la costituzione di diritti reali su determinati beni immobili o altre attribuzioni patrimoniali, il diritto stesso al mantenimento.
In Italia siamo invece rimasti fermi all'unica opzione fra comunione e separazione legale dei beni, da scegliere prima di recarsi all'altare o alla scrivania del sindaco. Tutto il resto incontra insormontabilmente il limite della nullità, a fronte della rigorosa indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale. L'effetto è che le liti post-coniugali affollano i Tribunali e la giurisprudenza si affanna a rincorrere - in una logica schizofrenica e spesso incomprensibile - decisioni che non riescono a trovare una linea comune e criteri uniformi.
È una questione di modernità e di volersi
bene, come Stato, come cittadini, come persone che legano la loro vita ad altri e non vogliono vivere un ineluttabile destino di conteziosi, risolvibili con un patto prematrimoniale cui la legge riconosca finalmente valore.
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