Joseph Ratzinger era stato prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l'ex Santo Uffizio. Insomma, Grande Inquisitore della cattolicità planetaria, così come il gesuita san Roberto Bellarmino (che si ritrovò a dover gestire lo spinoso caso Galileo) e il domenicano Michele Ghislieri, poi san Pio V. Come quest'ultimo, da papa dovette affrontare l'eterno problema jihadista, il quale, ieri come oggi, di massacro in massacro non faceva mistero di puntare a Roma. Pio V riuscì a risolvere il problema organizzando la Crociata che nel 1571 fermò gli ottomani a Lepanto. Benedetto XVI, non potendo contare su Stati cristiani, affrontò la cosa a colpi di logica col famoso discorso di Ratisbona (2006), nel quale disse chiaro e tondo che: o la teologia islamica faceva spazio alla ragione e cominciava a interpretare il Corano alla luce di essa, o non se ne usciva. Fu subissato. E non se ne uscì. Un pugno di «intellettuali» (le virgolette sono d'obbligo) romani non lo volle all'università La Sapienza, preferendo evirarsi pur di far dispetto alla moglie. E lui, persona mitissima, abbozzò. Aveva, anche qui, ragione lui, ma pure il laicismo ha i suoi talebani.
Da inquisitore di lungo corso, sul suo tavolo ogni giorno arrivavano rapporti sul clero di tutto il mondo, perciò aveva capito da un pezzo che era in corso una crisi di fede. E che i nodi irrisolti del sessantottismo nella Chiesa (spirito post-conciliare) avevano creato guasti interni di enorme portata: liturgici, dottrinali, disciplinari e perfino di rilevanza penale. Da Papa cercò di porvi rimedio restaurando. Diceva che ridare bellezza a un antico palazzo rovinato dal maltempo e dall'incuria non è regresso ma opera meritoria. In perfetta simmetria col predecessore Giovanni Paolo II che, in innumerevoli viaggi, aveva restaurato l'immagine esterna della Chiesa, lui mise mano al restauro interno. Pose le basi per una ferma ed efficace gestione del fenomeno dei preti pederasti, gettò un ponte sullo scisma lefevriano riabilitando l'antico rito tridentino (motu proprio Summorum Pontificum), diede l'esempio ripristinando il camauro e la croce astile, cercò di ridare lustro e onore alla musica seria, ricordando che si trattava di uno dei più bei doni del il cristianesimo. Non parlava per sentito dire, essendo lui stesso un pianista raffinato. Un altro dei suoi meriti è forse il meno conosciuto. Dopo il Concilio, il flusso secolare di conversioni di anglicani al «papismo» era stato praticamente interrotto da un malinteso ecumenismo. La «mano tesa» verso la Chiesa anglicana era tutta di parte cattolica, perché quella si allontanava sempre più ordinando donne e omosessuali. Benedetto XVI riaprì il rubinetto nel 2009 con la costituzione apostolica Anglicanorum coetibus, che permise e disciplinò il ritorno al cattolicesimo di intere diocesi (inglesi, americane e australiane) separate dai tempi di Enrico VIII. Papa Ratzinger cercò anche di rimediare quella frattura (non di fatto ma dei cuori) che si era operata all'interno del mondo cattolico col famigerato «spirito» post-conciliare («progressisti» contro «tradizionalisti»), proponendo la soluzione che chiamò «ermeneutica della continuità»: interpretare le novità conciliari alla luce della Tradizione. Dunque, nessuna «rottura» col patrimonio acquisito, solo un adeguamento di linguaggio al tempo presente. Vecchio e navigato inquisitore, sapeva bene quale immane compito era caduto sulle sue anziane spalle. Infatti, appena eletto Papa, aveva chiesto di pregare per lui, affinché non cedesse alla tentazione di scappare, per paura, «dinanzi ai lupi». Infatti, fu subito salutato, dai soliti, come «il pastore tedesco».
Chi ha visto il film American sniper sa che, in verità, proprio di un cane pastore c'è bisogno per difendere le pecore dai lupi. Ma un bel giorno ancora una volta spiazzò tutti dimettendosi. Epocale. Era dai tempi di Celestino V che non accadeva. E, come allora, ci fu chi bollò di viltà «il gran rifiuto». Ma il mite Pietro da Morrone, anche lui già anziano, aveva compreso che in quel momento storico ci voleva una personalità diversa. Per il bene della Chiesa. Stufi dei Papi «politici», i fedeli del XIII secolo volevano un «Papa santo» e furono accontentati con l'eremita Pietro. Il quale non tardò a rendersi conto che era meglio lasciare il campo a Bonifacio VIII, il quale forse santo non era, ma aveva polso. La situazione era tale che neanche il polso bastò. Schiaffo di Anagni, deportazione del papato ad Avignone, distruzione dei Templari (troppo fedeli al Soglio). Le illazioni sulle dimissioni di Benedetto XVI si sono sprecate. Perché non volle chiamarsi Giovanni Paolo III ma si ricollegò al Papa della Grande Guerra? Perché non depose l'abito bianco? Perché accettò la posizione, anche ufficiale, di «Papa emerito»?
E, soprattutto, che cosa lo convinse a mollare tutto? Un bilancio può essere azzardato, perché, anche se ignoriamo i retroscena, la scena la vediamo: il tentativo restauratore di papa Ratzinger è fallito completamente, e la spaccatura interna si è acuita, perché i «tradizionalisti» sono stati fatti passare tout court per «ratzingeriani». Il Papa è un uomo. Sì, vicario di Cristo, sì assistito dallo Spirito, ma sempre un uomo. Il quale deve anche pensare alla sua, di anima. Forse la spiegazione delle improvvise dimissioni di quel Papa è più semplice di quanto si pensi, perché anche se ci si rifiuta di coglierla solo perché certe cose non accadono (quasi) mai: ha preso atto del fallimento, ha capito di essere inadeguato al compito immane e si è fatto da parte.
Anche questa è una grande lezione per i tanti che non si schiodano dalla poltrona nemmeno a cannonate. Vittorio Messori, nell'Intervista sulla fede, gli chiese come facesse a restare così sereno in mezzo alla tempesta. Rispose, sempre mite e sorridente, che la Chiesa non era mica sua, ma di Cristo.
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