Milano «Gli artigiani non sono imprenditori di serie B. Nell'era della globalizzazione saranno loro a tenere in piedi l'occupazione». Antonio Intiglietta, presidente di Gefi, è l'organizzatore di Artigiano in Fiera. Sabato al polo fieristico di Rho-Pero s'inaugura la 20ma edizione: 3.250 stand, espositori da 115 Paesi, 310mila metri quadrati, 69 ristoranti e aree ristoro, 150mila prodotti, eventi culturali, spettacoli. Manca il dato dei visitatori: poiché non si paga biglietto, sarebbe un calcolo approssimativo.Parli di artigianato e vengono in mente le fiere di paese.«La nostra Fiera dimostra l'opposto. L'artigiano non è quello dei souvenir o del comodino della nonna: è il filatore di cachemire, il designer d'avanguardia, il costruttore di originalità. Oggi l'artigiano gira il mondo, commercia online, è il vero rappresentante dell'eccellenza italiana nel mercato globale».Spesso però è considerato un imprenditore di serie B.«Purtroppo, ed è un errore perché il cuore dell'artigianato è proprio l'uomo. A una conferenza stampa a Budapest una nostra espositrice ungherese disse: In fondo diamo un pezzo di noi alla gente che incontriamo. La nostra fiera rende visibile al grande pubblico la cultura del lavoro a dimensione umana delle arti e dei mestieri».Gli artigiani non godono di una rappresentanza forte.«Però hanno garantito occupazione in questi anni di crisi e lo faranno ancora. La novità è artigiana, Paesi come gli Stati Uniti l'hanno capito bene. Noi che abbiamo puntato su di loro siamo diventati la maggiore mostra mercato al mondo per espositori, spazi e pubblico».Che cosa spinge un artigiano a chiudere due settimane sotto Natale per venire a Milano?«E a lavorare dalle 8 a mezzanotte, perché questi sono gli orari di un espositore. C'è sicuramente un aspetto commerciale: per molti Artigiano in Fiera rappresenta almeno il 10-15 per cento del fatturato annuale. In questo periodo di crisi la nostra fiera è stata un'importante boccata di ossigeno. Ma la vera questione è un'altra».Più importante del fatturato?«Un operatore fieristico francese mi disse che da noi esiste uno strano connubio tra visitatore, espositore e organizzatore altrove assente. In questi giorni in fiera la parola più sentita è che bello, che buono. La gente si stupisce e fa esperienza delle cose belle e buone che l'uomo è capace di creare usando della materia. Questo è l'artigianato: far diventare una cosa utile essendo unica e originale. L'atto imprenditoriale di un artigiano, prima che un affare, è un atto poetico, espressivo di sé».Come si diventa la prima vetrina mondiale dell'artigianato?«Con tre decisioni vincenti. Abbiamo scelto il periodo di Sant'Ambrogio perché coincide con lo shopping natalizio milanese. Secondo: ingresso libero. Non c'è fiera al mondo in uno spazio fieristico senza biglietto, ma noi volevamo che chiunque potesse conoscere e riconoscere il valore del lavoro artigiano: venire, appassionarsi, ritornare».Terzo?«La fiera non è divisa per categorie ma per aree geografiche, un villaggio globale di arti, mestieri e culture dei popoli. Se c'è un'attività che esprime il radicamento tra il lavoro, l'uomo, la sua tradizione e il territorio, è l'artigianato. Chi cerca l'India vede i colori dell'India, respira le cose indiane, mangia indiano, compra prodotti indiani dagli artigiani indiani che le hanno fabbricate».Ma il mercato globale non farà sparire il piccolo artigiano?«Questa è la grande sfida: che chiunque nel mondo possa incontrare e conoscere l'eccellenza artigianale, che rimane una fondamentale forma di occupazione e imprenditoria. Ed esprime un'economia a dimensione umana che fa il paio con l'antropologia di papa Francesco nell'enciclica Laudato si'».
Come conciliate la globalizzazione con la piccola bottega?«Stiamo sviluppando la piattaforma e-commerce Artimondo, una rete che non segue la logica delle multinazionali: niente prodotti standard venduti uguali ovunque, ma valorizzare originalità e autenticità».Davide contro Golia.«Sì. Ma chi ha prevalso?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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