Quando giovedì Chiara Petrolini (la mamma ventunenne accusata di aver ucciso e nascosto i corpi dei suoi due neonati) è arrivata al Tribunale di Parma per non rispondere al gip durante l'interrogatorio di garanzia, di lei non si è visto nulla.
L'auto degli agenti in borghese l'ha scaricata davanti alla porticina interna ed è scesa tenendosi un foglio davanti alla faccia per nascondersi dalle telecamere accalcate fuori. I jeans, la manica di una maglia bianca, il golf annodato sulle spalle come lo portavano i ragazzi «per bene» di due generazioni fa. E poi una massa di capelli a proteggere le rapide degli zigomi pieni che avevamo visto in un'altra immagine. Ma lo zoom dei fotografi ha inquadrato la mano che reggeva quel foglio e un particolare è arrivato nell'obiettivo come un graffio: le unghie perfettamente laccate di un rosso saturo. Un colore che strideva in questa storia atroce di assenze in cui sembrano ammessi solo i grigi, i neri, le sfumature del vuoto. Quel rosso saturo inquinava l'orrore. Sembrava la mano di una pop star inseguita dai paparazzi. Invece era quella di una ragazza che ha ucciso i suoi bambini. Da quando, assieme ai corpicini seppelliti nel giardino di casa e all'esame del Dna è emersa la verità, ci siamo immaginati Chiara accartocciata dalla tensione, dalla paura, dalla colpa: esattamente in quest'ordine. Poi quelle unghie curatissime e colorate: c'era troppa attenzione a quel dettaglio, urlava troppa vita.
E continua a sembrarci impossibile che chi è così vivo non si sintonizzi sulla frequenza di un altro essere umano, come un perfetto estraneo ai suoi stessi figli.Come se si fosse tenuta un'altra sé, da qualche altra parte. In un posto in cui tutta questa vicenda non esiste.
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