I genitori gay e i loro figli dovrebbero essere riconosciuti come una famiglia in tutti gli Stati membri dell'Unione europea. Italia compresa. È uno dei principi al centro della proposta di regolamento presentata ieri dalla Commissione Ue per «armonizzare» le norme di diritto internazionale privato sulla genitorialità. Bruxelles prevede infatti la creazione di un certificato europeo di genitorialità, valido in ogni Paese. «La proposta è incentrata sull'interesse superiore e sui diritti del bambino», spiega Bruxelles, evidenziando che «la genitorialità stabilita in uno Stato membro dovrebbe essere riconosciuta in tutti gli altri Stati membri, senza alcuna procedura speciale» incluso il riconoscimento per i «genitori dello stesso sesso».
Sono circa 2 milioni i bambini che si vedono negare il rapporto giuridico con i genitori quando la famiglia si trasferisce in un altro Stato membro che non riconosce la genitorialità precedentemente stabilita dal Paese di origine, ad esempio in Olanda. Le nuove norme, afferma la Commissione europea, garantiranno «chiarezza giuridica a tutti i tipi di famiglie che si trovano in una situazione transfrontaliera all'interno dell'Ue» e consentiranno «ai minori di beneficiare dei diritti derivanti dalla genitorialità ai sensi del diritto nazionale, in questioni come la successione, il mantenimento, l'affidamento o il diritto dei genitori di agire in qualità di rappresentanti legali del minore (per questioni scolastiche o sanitarie)».
Il Movimento Pro Vita insorge contro Von der Leyen & company e legge tra le righe della proposta qualcosa di più «grave e pericoloso». «Si palesa la chiara volontà di imporre gli effetti dell'aberrante e inumana pratica dell'utero in affitto, ad oggi illegale in molti Paesi Membri. Sarebbe infatti questa la diretta conseguenza del riconoscimento di due genitori dello stesso sesso come famiglia, anche se si spostano da uno Stato dell'Unione a un altro» sostiene il portavoce delle famiglie tradizionali Jacopo Coghe. «L'unico 'interesse superiore del bambino' è quello - sottolinea - di avere una mamma e un papà, non di essere l'oggetto del desiderio di due donne o due uomini, né tantomeno quello di essere strappato dalla madre che lo ha portato in grembo per nove mesi, che viene così cancellata. La proposta legittimerebbe gli effetti della nuova forma di schiavitù femminile del XXI secolo e rappresenta un'ingerenza inaudita e inammissibile nei confronti degli Stati membri».
Netta la posizione della Chiesa, che cerca di liquidare la questione: «Mi pare una minestra già vecchia. Di quelle che si fanno il lunedì e il sabato girano ancora in cucina» stempera il vescovo di Ventimiglia-Sanremo, monsignor Antonio Suetta, tra le voci più critiche dell'episcopato italiano quando in ballo ci sono i temi legati alla famiglia. «Se si vuole fare chiarezza giuridica - premette il vescovo - bisogna riconoscere il dato di fatto, e cioè che la famiglia è formata da un uomo e da una donna uniti in matrimonio i quali generano figli».
«Di madre, come si diceva in passato, ce n'è una sola e se noi tocchiamo la maternità siamo
apprendisti stregoni che cambiano qualcosa di veramente profondo nell'inconscio, nella cultura, nel modo di stare insieme delle persone» è il pensiero della ministra della Famiglia, Natalità e Pari Opportunità Eugenia Roccella.
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