La corsa meno frenetica dell'inflazione, come ci raccontano Istat ed Eurostat, ricorda quei pannicelli freschi che si appoggiano sulla fronte per abbassare la temperatura. Il sollievo c'è, ma la febbre rimane. In Italia i prezzi si sono infatti attestati in luglio a un + 6% rispetto a un anno fa e risultano in calo dal 6,4% di giugno, mentre nell'eurozona il carovita è sceso dal 5,5% di giugno al 5,3%. Se il dato europeo non sarà certo d'incentivo per promuovere un cambio di passo da parte della Bce, il confronto con il resto dell'Europa - e in particolare con Francia (al 5%) e Spagna (2,1%) - fa capire come il nostro Paese fatichi a riassorbire le dinamiche inflazionistiche. D'altra parte, i recenti rincari dei biglietti aerei e dei carburanti (con le implicazioni che questi ultimi hanno sull'intera filiera dei prezzi), avvenuti in concomitanza con l'apertura della stagione delle vacanze, vanno in direzione contraria rispetto all'auspicata tendenza deflativa e non lasciano ben sperare per l'immediato futuro.
Perché è proprio su questi aumenti improvvisi, più che sulla media espressa dai panieri, che va misurata l'effettiva perdita di potere d'acquisto delle famiglie, molte delle quali gravate da mutui resi onerosi dai nove rialzi dei tassi decisi dall'Eurotower. Trascinare fino alle casse il carrello della spesa continua infatti a essere pesante: l'istituto di statistica dà conto di un rallentamento nella corsa dei prezzi, che restano tuttavia un 10,4% più elevati di 12 mesi fa. Gli alimentari freschi e non lavorati sono peraltro diventati più costosi, essendo passati dal +9,4% di giugno al +10,4%. L'Unione nazionale consumatori calcola che «per una coppia con due figli, l'inflazione a +6% significa una mazzata annua pari a 1.725 euro; di questi ben 838 servono solo per far fronte ai rialzi del 10,9% di cibo e bevande». Ciò che l'Istat non sottolinea è come siano stati tutt'altro che riassorbiti i rincari a doppia cifra di alcuni generi di prima necessità nel periodo più arroventato. Lo zucchero ha, per esempio, un retrogusto amarissimo: dal picco del +47% in un anno, i prezzi sono scesi di appena poco più del 2% fra maggio e giugno. E lo stesso vale per pasta, riso, olio e burro, a dimostrazione che l'inflazione è come il dentifricio: una volta uscita, non rientra più nel tubetto.
La divaricazione fra Italia e resto d'Europa riguarda anche l'andamento dell'inflazione core (al netto di energia e cibo): più leggera da noi (da +5,6 a +5,2), mediamente più marcata (+5,5%, dato invariato) all'interno di Eurolandia. È questo il fronte che la Bce monitora con maggiore attenzione, ed è da qui che discendono poi le decisioni di politica monetaria. Senza un ripiegamento significativo dell'inflazione di fondo è improbabile che Francoforte, in settembre, metta i tassi in stand by. In un'intervista a Le Figaro, la presidente dell'Eurotower Christine Lagarde, ha ribadito che «una pausa, quando si concretizzerà, in settembre o più tardi, non sarà necessariamente definitiva».
E respinto al mittente le critiche di leader come Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron: «Un banchiere centrale deve avere la pelle dura. Risponderò al Parlamento europeo ogni trimestre per riferire su quanto fatto». Et voilà: la Marchesa del Grillo.
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