La Cassazione sdogana l’epiteto "toghe rosse". E dice che, utilizzato il più delle volte in maniera non lusinghiera nei confronti di alcuni magistrati accusati di avere simpatia politiche "di sinistra", può anche essere utilizzato e non avere una valenza denigratoria. Almeno quando si dà della "toga rossa" a qualche magistrato nei confronti del quale si vuole enfatizzare la "coscienza fiera". Ecco perché la Suprema Corte ha bocciato il ricorso di un magistrato siciliano che si era sentito diffamato nelle pagine di un volume edito da Baldini e Castoldi dal titolo Piombo rosso - la storia completa della lotta armata in Italia dal 1970 ad oggi.
Il volume si riferiva al pm, che poi li ha querelati, dicendo che era "una toga rossa, proprio di Palermo, di quelle particolarmente sgradite al presidente del Consiglio e ai suoi giornali". Se in primo grado il magistrato aveva ottenuto un risarcimento di 5mila euro perché il giudice aveva reputato diffamatoria l’espressione "toga rossa", in appello la Corte di Milano glielo ha negato. I giudici di merito avevano evidenziato che "la censurata espressione di 'toga rossa' presa nel contesto di un’ampia trattazione sul periodo dei cosiddetti anni di Piombo non risultava usata in tono denigratorio e dispregiativo, bensì in senso positivo, ossia per indicare l’atteggiamento di un magistrato inquirente che non si ferma alle apparenze e che gode di una 'coscienza tranquillamente fiera'".
Nella sentenza pubblicata oggi la Cassazione ha ricordato che "la Corte d’appello ha valutato come 'forzato e difficilmente comprensibile' l’accostamento - che secondo il magistrato aveva valenza diffamatoria - tra l’espressione 'toga rossa' e quella di 'piombo rosso',
utilizzata nel libro con riferimento ai molti fatti di sangue di quegli anni, e ha escluso che le due espressioni potessero in qualche modo lasciare intuire un comportamento non pienamente limpido" da parte della toga.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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