Dov'è il presidente? E a Washington? È già partito? Fermatelo, perché qui c'è una crisi da risolvere prima che la sinistra trovi un accordo. Invece ieri Emmanuel Macron era rimasto tatticamente a Parigi. Partirà per il vertice Nato soltanto questa mattina. Le voci degli sherpa del governo in carica ieri hanno però hanno surriscaldato per ore la linea che da Matignon parla all'Eliseo. Perché tutti sanno che la crisi francese, e l'incertezza del risultato, ha innescato una gara di velocità nei due campi. Chi troverà prima una quadra? Chi un nome che vada bene a un numero di deputati il più vicino possibile a 289? La maggioranza assoluta non è un obbligo. Ma almeno, se relativa sarà, che sia almeno sostanziosa. Ecco allora cosa stava facendo ieri Macron, quando tutti si chiedevano che decisione avesse preso sulla sua partecipazione al summit; data perfino in forse a fronte della «palude» da bonificare in casa con un altro colpo di teatro.
Ieri c'è stato il preludio alla possibile nuova sceneggiatura del maître des horloges. Il presidente ha infatti incontrato in segreto all'Eliseo il presidente del Senato Gérald Larcher. Neogollista di rango: che a vedere al governo i mélenchoniani non ci pensa neppure lontanamente, ed è dunque disposto, con una ipotetica pattuglia di Républicains, a sondare l'ipotesi di allargare la Macronie verso destra. Pure loro non hanno un nome in casa. Certo, c'è il premier Attal in carica per gli affari correnti; se però restasse ad libitum, la sinistra ieri ha già annunciato barricate e azioni mediatiche di protesta che potrebbero perfino portare manifestanti a Matignon. Dunque si prova a voltare pagina.
Lo spettacolo dopo il big bang che ha cambiato faccia alla V Repubblica costringe a ripensare un sistema che fatica a immaginare alleanze tanto diverse. Non è nel Dna francese. Ma azzardando s'impara, si potrebbe dire nel caso di Macron; perfino disposto ad accogliere a Palazzo Larcher e intavolare una discussione con un vecchio tenore repubblicano che il giorno prima l'aveva accusato di aver «fatto precipitare» la Francia in un'instabilità politica «dannosa». Fieramente contrario all'alleanza con i lepenisti, Larcher sarebbe disposto a un piccolo inciucio, ostacolando ancor di più quel processo che si è aperto a destra con Bardella. Intanto Attal sonda in Assemblée ogni segnale (è deputato oltreché premier e capo tribù); dai socialisti quanto da quei neogollisti che temono che non possano reggere l'urto di una nuova scossa. A sorpresa ieri sera è intervenuto anche l'ex premier Edouard Philippe, vicino al presidente ma con una sua autonomia strategica e d'azione, e soprattutto gollista. Per Philippe, che si dice «di destra» (pur avendo sostenuto un comunista contro un lepenista nella sua Havre), ora serve «una coalizione che vada dai Républicains a Renaissance, perché per ogni blocco sarà difficile rispondere alle attese dei francesi e fare riforme di cui hanno bisogno, urge a corto raggio garantire stabilità. Meglio un governo con LFI (i mélenchoniani, ndr) o un accordo da gauche a droite?», taglia corto.
Bruno Ratailleau, neogollista lo gela: «Abbiamo avuto una linea chiara di autonomia, Philippe consce la matematica, i conti non tornano».Ma per uscire dalla palude molti sono ora disposti a tutti. Magari per un solo anno.
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