Un escamotage targato Bonafede, un decreto che dietro l'apparenza innocua portava un colpo sotto la cintura alla privacy dei cittadini: ieri la Commissione Giustizia della Camera si è trovata davanti il provvedimento che l'allora ministro della Giustizia, il grillino Alfonso Bonafede, aveva steso nel 2020 per disciplinare l'uso dei trojan, i «captatori informatici» divenuti l'ultima frontiera delle intercettazioni. Il decreto in teoria serviva a mettere ordine nella giungla dei prezzi di un servizio appaltato interamente ai privati. Di fatto, il testo dell'ex ministro apriva la porta all'utilizzo dei trojan non solo per ascoltare telefonate e conversazioni dal vivo, ma anche per succhiare l'intera vita precedente del titolare. Una tariffa per estrapolare la rubrica una per e password, una per l'archivio fotografici, una per le chat, eccetera.
Contro il «supertrojan» era partito all'attacco nei giorni scorsi Enrico Costa, deputato del gruppo Misto, ex sottosegretario alla Giustizia, che lo definisce una «perquisizione illegale permanente». Fortemente critici tutto il centrodestra e pure Italia Viva che con Lucia Annibali sottolinea un'altra stortura del tariffario di Bonafede, ovvero il servizio di intercettazione e presso i privati, «quando la legge prevede espressamente che si possa fare solo in uffici giudiziari o di polizia».
Di fronte a quella che appariva una frattura insanabile all'interno della maggioranza, con i 5 Stelle - attraverso la relatrice Giulia Sarti - arroccati a difesa del progetto Bonafede, il governo manda ieri in commissione il sottosegretario Francesco Paolo Sisto con la missione precisa di evitare una nuova grana sul delicato fronte della Giustizia. E Sisto riesce a ricomporre i pezzi con un testo che di fatto raccoglie le obiezioni principali: sparisce per esempio la «remotizzazione», cioè la possibilità che il flusso delle notizie dal telefono infettato vada a finire nelle sedi delle società private, come avvenuto per esempio nel caso Palamara, con tutti i dubbi conseguenti sulla tutela da manomissioni e alterazioni.
E il supertrojan, che fine fa? La mediazione prevede che le tariffe relative rimangano nella tabella dei prezzi, in modo da avere un riferimento nel caso che la norma dovesse cambiare in futuro, ma sparisce dal testo del decreto ministeriale: che in questo modo ottiene alla fine il parere favorevole e viene inoltrato alla commissione Bilancio per l'approvazione finale. Resta la percezione netta di come il nodo giustizia sia destinato a essere tra i terreni più scivolosi per la maggioranza variopinta che sostiene il governo Draghi, quello dove si manifestano più chiaramente le diversità profonde che la attraversano. Basti pensare a come il decreto Bonafede fornisse di fatto, nella sua formulazione originaria, una libertà di manovra quasi assoluta alle Procure nell'utilizzo dei trojan come arma di indagine, e proprio per questo fosse caro al popolo grillino.
E proprio per questo è stato vissuto da pezzi rilevanti della maggioranza come un favore inaccettabile al «partito delle manette». Ieri, alla fine, in qualche modo la mediazione è stata raggiunta, in attesa della prossima occasione di scontro interno tra populisti e giustizialisti.
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