F ino a ieri il nemico era la famosa «casta»: un migliaio di ex deputati che ancora prendono vitalizi più o meno cospicui, che ieri sono stati un po' sforbiciati. Champagne, palloncini, grasse risate in piazza alla festa anticasta organizzata davanti a Montecitorio da un vicepremier e svariati ministri grillini.
Ora la platea dei nemici si allarga: «Questa settimana presenterò in commissione un provvedimento per tagliare le pensioni d'oro», annuncia col consueto sorriso a denti serrati Luigi Di Maio. E incalza: «È il nostro grande obiettivo: andare a colpire gente che ha versato mille e prende sessantamila. Parassiti sociali cui bisogna tagliare tutto», magari anche le mani, troppo avide. Peccato che poi il tagliente vicepremier debba circostanziare meglio la platea dei «parassiti sociali» cui vuole «tagliare tutto». E così si scopre che per pensioni «d'oro» da decurtare non si intendono quelle da 60mila euro (che probabilmente non esistono in natura), e nemmeno quelle da 5/6mila euro come inizialmente avevano detto i Cinque stelle: nelle ultime ore Di Maio ha abbassato la soglia ai 4mila euro mensili (netti, pare). Evidentemente qualcuno lo ha messo davanti ad una lavagna e gli ha spiegato pazientemente alcuni conti, in base ai quali si comprende che, riallineando al sistema contributivo le pensioni dai 5mila euro netti al mese in su, che secondo i dati Inps sono 30mila, si ricaverebbero alla fine solo poche centinaia di milioni. Altro che il miliardo previsto da Di Maio, con cui l'ardito neoministro vorrebbe pagare le «pensioni di cittadinanza» di 780 euro a tutti quelli che ora ne prendono 630 con la minima.
Ecco dunque che i Cinque stelle, per allargare la platea da punire, mettono nel mirino le pensioni da 4mila al mese. Non nababbi ma professionisti, piccoli imprenditori, commercianti, funzionari e dirigenti andati in pensione non da fuorilegge ma in base alle vecchie regole del sistema retributivo, che per decenni è stato in vigore per tutti in Italia. Non una perfida casta di ricconi che nuotano nell'oro come Zio Paperone, ma una vasta platea di appartenenti alla classe media italiana, che il principale partito di governo mette alla gogna come «parassiti sociali» e addita a nemici del popolo cui «tagliare tutto».
A chi gli chiede maliziosamente se la Lega, che dai pensionati benestanti del Nord prende una buona percentuale dei suoi voti, sia d'accordo, il ministro del Lavoro replica serafico: «Siamo d'accordo su tutto». Ma è da vedere: non a caso le proposte fatte finora dal Carroccio sono diametralmente opposte. «Sono sicuro che riusciremo a farlo - dice però Di Maio - perché se in meno di cento giorni abbiamo tagliato i vitalizi, tagliare le pensioni sarà uno scherzo».
I conti però non tornano: tagliando le pensioni sopra quota 4mila si potrebbe arrivare all'agognato miliardo evocato da Di Maio, ma esso non basterebbe comunque. Il Sole24Ore ha messo in fila le cifre: l'attuale spesa per gli assegni sociali, per poco più di 850mila pensionati, è di 4,7 miliardi. Portare l'assegno a 780 euro costerebbe 8,6 miliardi, dunque occorrerebbero circa 4 miliardi. E gli altri tre dove li prenderà, il vicepremier?
Nel frattempo, i sindacati e la sinistra che il partito della Casaleggio puntava a sedurre con il decreto Dignità ora inorridiscono davanti alle ipotesi di taglio delle pensioni. «Vorrebbe dire aprire il varco al ricalcolo delle pensioni, una scelta drammatica che metterebbe a rischio la certezza del diritto», tuona Susanna Camusso. Per Cesare Damiano, ex ministro della sinistra Pd che aveva aperto sul decreto Dignità, ricalcolo delle pensioni col contributivo è addirittura «veleno puro».
E spiega: «Si comincia propagandisticamente con i vitalizi e le cosiddette pensioni d'oro, ma il vero obiettivo è colpire chi è andato in pensione col sistema retributivo: si parte dall'alto e si arriva agli operai». Passando intanto per la classe media.
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