Crudo, quasi ruvido. «Non sono ammesse distrazioni. Non si deve perdere tempo. Non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte». Insomma, dice Sergio Mattarella da un Quirinale deserto, il governo si svegli e prepari un piano «serio e concreto» per il Recovery Fund: sono in gioco 209 miliardi, non possiamo mica fallire. «I prossimi mesi rappresentano un passaggio decisivo per uscire dall'emergenza e per porre le basi di una stagione nuova». Questo è «quanto i cittadini attendono», non certo giochi di palazzo, crisi al buio e liti sul rimpasto. Il capo dello Stato controllerà, anzi, di più: legherà «alla ripresa» il suoi 13 mesi finali sul Colle. «Questo è il tempo dei costruttori. La ripartenza sarà al centro dell'ultimo anno del mio mandato». Il presidente si fa così garante, anche a livello internazionale, della rinascita economica e sociale del Paese. Giuseppe Conte è commissariato.
Un discorso asciutto e aspro, che segna forse un cambio di intensità nella sua funzione istituzionale. Dal mondo politico grandi applausi bipartisan e anche una domanda diffusa: sarà davvero l'ultimo anno? Mattarella al bis non ci pensa, non ne ha proprio voglia e ritiene che superare il limite fissato dalla Carta equivale a passare da una Repubblica a una monarchia. È vero, c'è il fresco precedente di Napolitano, e nessuno può prevedere quale sarà la situazione a febbraio 2022: che succederà se, quando sarà il momento, i partiti gli chiederanno di restare ancora un po'? Scenari irrealistici, li definiscono dal Colle. Quello che è certo è che lui eserciterà fino in fondo il suo ruolo, senza farsi influenzare nemmeno dallo scattare del semestre bianco. Mani libere.
E quelle mani le usa subito, nella notte silenziosa del Quirinale, per rifilare uno schiaffo al governo. Troppi ritardi sul Recovery, troppe incertezze. «Il piano per la ripresa deve essere concreto, efficace, rigoroso e non deve disperdere risorse». Solo così «possiamo permetterci di superare fragilità strutturali che hanno impedito all'Italia di crescere come avrebbe potuto». Basta quindi con le mancette, i ristori, i sussidi, i soldi distribuiti a pioggia: servono riforme vere e un'idea di sviluppo del Paese. «Cambiamo ciò che va cambiato, rimettiamoci in gioco con coraggio e lungimiranza». E qui, forse non a caso e provocando una serie di dietrologie, sembra far sue le proposte di fare «un debito buono» avanzate da Mario Draghi.
Una volta tanto che l'Europa si è mossa bene, da Europa, offrendo una risposta rapida e corposa alla doppia crisi che travolge tutti, sarebbe un peccato non cogliere l'occasione per sistemare il Paese. E dal discorso di Mattarella affiora proprio questo allarme, la preoccupazione che il governo non sia in grado di gestire la ricostruzione. Abbiamo visto commissari, esperti, Stati Generali, cabine di regia, in pratica il nulla: e ora il rischio è di sperperare in tanti rivoli clientelari il sostegno della Ue. Serve «serietà».
Poi certo la situazione politica interna non aiuta, con una maggioranza spaccata, una verifica aperta e il muro contro muro tra Conte e Renzi. Mattarella è contrario a una crisi al buio, dagli sbocchi incerti, mentre il Paese è ancora alle prese con i contagi. Non si può parlare di rimpasto di fronte a 600 morti al giorno, i partiti dovrebbero «riconnettersi con i sentimenti delle persone». Altro discorso se un cambio anche parziale della squadra di governo diventa funzionale all'operazione di rilancio. Se la vedranno le forze di maggioranza. «Siamo davanti a un grande compito che sollecita la responsabilità delle istituzioni, delle forze economiche, dei corpi sociali, di ciascuno di noi: misura, collaborazione e senso del dovere sono necessari per proteggerci e ripartire». Ognuno «faccia la sua parte».
Ma il vero timore del capo dello Stato è sulla tenuta sociale dell'Italia. Il Covid, spiega «ha scavato solchi profondi, ha aggravato vecchie disuguaglianze. ne ha create di nuove». Tutti abbiamo pagato un caro prezzo, però non tutti uguale. E cita «autonomi, precari, imprese, donne, giovani: nella comune difficoltà alcuni settori hanno sofferto più di altri». Come abbiamo tamponato la situazione? «La pandemia ha accentuato limiti e ritardi. Ci sono stati errori nel fronteggiare una realtà improvvisa e sconosciuta. Si poteva fare di più e meglio? Certamente si, ma non siamo in balìa degli eventi».
Ora però «dobbiamo preparare il futuro».
Una sfida che «richiama l'unità morale e civile degli italiani; non si tratta di annullare le diversità di idee, di ruolo, di interessi, ma di realizzare quella convergenza di fondo che ci ha permesso di superare momenti storici di grande, drammatica difficoltà». Ce la faremo pure stavolta? Mattarella ritiene di si. «Abbiamo le carte in regola», dice, e non si capisce se è una convinzione o una speranza.
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