Di Matteo denunciò complotti ma nessuno insorse

L'ex membro del Csm parlò di influenze esterne su palazzo Marescialli, ma la "bomba" non deflagrò

Di Matteo denunciò complotti ma nessuno insorse
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Non tutti i complotti sono uguali. Meno di tre anni fa, a novembre del 2021, all'apice dello scandalo del Csm, l'allora consigliere dell'organo di autogoverno della magistratura Nino Di Matteo, intervistato dal compianto Andrea Purgatori su La7, lanciò un allarme decisamente inquietante quanto alla permeabilità del Csm rispetto alle influenze esterne. Sostenendo che non c'erano solo le correnti della magistratura, il cui ruolo in un sistema degenerato era stato chiaramente illustrato dal caso Palamara, a premere sull'organo di autogoverno per pilotare elezioni e nomine, ma che ancora più temibili erano invece le «cordate».

Il magistrato antimafia, sul punto, sosteneva che si fossero formate «anche al di fuori o trasversalmente alle correnti delle cordate attorno a un procuratore o a un magistrato particolarmente autorevole». E aggiungeva che queste cordate sarebbero state «composte da ufficiali di polizia giudiziaria e da esponenti estranei alla magistratura che pretendono, come fanno le correnti, di condizionare l'attività del Csm e dell'intera magistratura».

Soltanto se ti trovi all'interno di queste cordate, spiegava l'ex magistrato della trattativa Stato-Mafia parlando alle telecamere della trasmissione Atlantide, «vieni tutelato nei momenti di difficoltà, la tua attività viene promossa, vieni sostenuto anche nelle tue ambizioni di carriera».

La chiave di queste «cordate», per Di Matteo, che aveva anticipato il concetto già due anni prima, al momento della sua candidatura al Csm, era dunque proprio l'appartenenza. Un'appartenenza la cui logica proseguiva il magistrato - «è molto simile alle logiche mafiose», tanto che in queste condizioni chi non fa parte della cordata diventa un avversario. Anzi, insisteva Di Matteo, «diventa un corpo estraneo da marginalizzare, da contenere, se possibile da danneggiare», così che il pm concludeva ricordando come proprio quel «metodo mafioso» avesse ormai «inquinato i poteri, non solo la magistratura».

Una bomba che sembrava poter espandere ulteriormente il caos scatenato a maggio 2019 dal caso Palamara e dallo scandalo delle nomine pilotate al Csm, ma che non fece quasi per nulla rumore. Delle dichiarazioni fatte da Di Matteo in quella trasmissione, infatti, sembrarono avere più spazio le critiche alla riforma avviata dall'allora Guardasigilli Marta Cartabia, mentre l'emergere delle «cordate» formate da polizia giudiziaria e toghe non sollevò particolari polemiche: al centro del dibattito, semmai, rimasero le arcinote «correnti».

Certo il ritorno mediatico di quelle affermazioni firmate dal pm Nino Di Matteo, il balenare di quel complotto trasversale alle stesse correnti della magistratura e in grado nell'ombra - di pilotare carriere, orientare nomine e decidere fortune, coinvolgendo toghe, pg e persino la politica sembrava poco più di un colpo a salve. Un timido botto, nemmeno lontanamente paragonabile al polverone alzato negli ultimi giorni dalla rivelazione del direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, a proposito della volontà di indagare Arianna Meloni, sorella della presidente del consiglio, Giorgia.

Questa volta, infatti, l'eco

è stato decisamente assordante, e la macchina del fango s'è messa in azione per anzi, contro - lo scoop di Sallusti. Derubricato a complotto «orchestrato da Palazzo Chigi», nonostante le smentite di tutti gli interessati.

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