Berlino. L'Europa ha fallito, la Cina rimane alla finestra e gli Stati Uniti sono considerati un nemico. Così, per tentare di risolvere la crisi russo-ucraina, a Mosca scende in campo il Medio Oriente, regione vicina alla Russia per geografia e politica. Ieri al Cremlino è arrivato il primo ministro israeliano Naftali Bennett, accompagnato da un traduttore non comune: il ministro dell'Edilizia Ze'ev Elkin, nato nel 1971 a Kharkiv, la città ucraina più pesantemente colpita dai bombardamenti russi. Un tentativo di Israele di mettere pace fra Mosca e Kiev era nell'aria da giorni: lo stato ebraico non è solo uno storico alleato degli Usa ma intrattiene rapporti intensi con Russia e Ucraina in virtù di un 15% di cittadini russofoni giunti in Israele dopo il collasso dell'Unione Sovietica. Oltre a Elkin, altri due ministri del governo Bennett provengono dall'ex Urss: il titolare delle Finanze, Avigdor Lieberman, è nato nel 1958 a Chisinau, oggi Moldavia; e quello del Turismo, Yoel Razvozov, è originario di Birobidzhan, distretto ebraico dell'estremo oriente russo al confine con la Cina. In Medio Oriente, poi, Mosca gioca contro gli Usa sostenendo due nemici mortali di Israele: la Siria di Bashar Assad e l'Iran dell'ayatollah Alì Khamenei, due leader a loro volta alleati degli agguerriti Hezbollah libanesi. Per la tutela della propria sicurezza, Israele non può dunque prescindere da buoni rapporti con la Russia. L'arrivo di Bennett a Mosca, una visita concordata con Usa, Francia e Germania, fa seguito a un suo giro di telefonate nei giorni scorsi tanto con il presidente ucraino Volodomyr Zelensky, quanto con Vladimir Putin.
Ricevendo il premier israeliano, il presidente russo rompe l'isolamento internazionale in cui è precipitato con l'invasione dell'Ucraina: solo mercoledì scorso 141 Paesi, incluso Israele, hanno censurato all'Onu l'aggressione di Mosca contro Kiev. Bennett ha però anche cercato di moderare i toni con la Russia, preoccupandosi di sottolineare il bisogno di sostenere l'Ucraina, alla quale ha inviato 100 tonnellate di aiuti umanitari proprio mentre preparava il viaggio a Mosca. In molti hanno osservato come Bennett ed Elkiv, entrambi ebrei osservanti, siano partiti alla volta della Russia durante lo shabbat, il sabato ebraico, durante il quale è prescritto il riposo. Nell'ebraismo i dettami della Torah possono però essere violati per salvare una vita umana e l'urgenza del viaggio ha fatto sperare in una svolta imminente. Allo zar Putin, Bennett ha offerto i propri buoni uffici, ma la profondità dell'affondo militare russo in Ucraina non lascia sperare che una semplice mediazione possa risolvere la crisi. Mosca e Kiev hanno peraltro fatto capire che un nuovo round di negoziati diretti, il terzo, potrebbe già tenersi nelle prossime ore. Il fermento diplomatico è evidente: a conclusione dell'incontro con Putin, il premier israeliano ha telefonato a Zelensky per poi recarsi a Berlino, dove incontrerà il cancelliere tedesco Olaf Scholz per la seconda volta in quattro giorni.
Dopo Bennett, un altro leader mediorientale andrà in pressing sul Cremlino: il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato che telefonerà oggi allo zar per chiedergli di fermare le operazioni militari in Ucraina. Anche la Turchia ha rapporti stretti con Russia e Ucraina, a cominciare dal comune affaccio sul Mar Nero. Negli ultimi due anni Erdogan ha molto irritato gli alleati della Nato per aver acquistato dalla Russia il sistema missilistico S-400. Ankara e Mosca operano poi di comune intento in Siria mentre giocano su fronti opposti in Libia.
E ancor più di Italia e Germania, la Turchia dipende dalle importazioni di gas russo mentre il turismo dei cittadini russi è una voce importante dell'economia turca. Così Erdogan ha criticato le sanzioni antirusse. E però ha anche condannato Mosca all'Onu, mentre suo genero Selçuk Bayraktar è considerato uno dei principali fornitori di armi dell'Ucraina.
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