
Giorgia Meloni sceglie il Financial Times per la sua prima intervista a un quotidiano internazionale da quando siede a Palazzo Chigi. Una delle più prestigiose testate in lingua inglese, ma britannico e non americano, tra i brand mediatici più affidabili al mondo e certamente la più autorevole testata economica del Vecchio continente. Insomma, un palcoscenico di tutto rispetto. Dal quale la premier ribadisce la sua linea euro-atlantica, con tanto di titolo eloquente: Giorgia Meloni rejects childish' choice between Trump and Europe. Pensare di scegliere tra The Donald e l'Europa, è la sua convinzione, è semplicemente «infantile».
Quale sia l'approccio di Meloni nei confronti del nuovo inquilino della Casa Bianca, in verità, non è certo un mistero. Tanto che in tutti gli ultimi Consigli Ue e pure in diversi vertici internazionali, la presidente del Consiglio ha sempre insistito sulla necessità di coinvolgere Washington in tutte le scelte che riguardano l'Europa e il conflitto tra Mosca e Kiev, come pure di aprire un tavolo di confronto sulla spinosissima questione dazi. E giovedì scorso all'Eliseo, durante la riunione dei cosiddetti «volenterosi», la premier è arrivata a chiedere formalmente che al prossimo vertice fosse «coinvolta anche una delegazione americana».
La lunga intervista al quotidiano conservatore londinese, però, segna un passo ulteriore. Perché in un momento in cui l'Europa si interroga sull'eventualità di un cambio di paradigma nel rapporto con gli Stati Uniti, Meloni non si limita a «non scegliere» ma manda di fatto un messaggio di forte vicinanza alla nuova amministrazione americana. Se Bruxelles e le principali capitali europee guardano con grande diffidenza alla mediazione che Trump sta portando avanti tra Russia e Ucraina e quasi con orrore all'ondata di dazi annunciata da Washington, la premier italiana non solo predica cautela ma definisce la reazione di alcuni leader europei «eccessivamente politiche». Difficile non vedere un riferimento diretto ad Emmanuel Macron e Keir Starmer, visto che Meloni è convinta del fatto che il fronte pro-Ucraina di Francia e Regno Unito sarà visto da Mosca come «una minaccia». Mentre sui dazi invita l'Europa a non reagire «semplicemente in modo istintivo».
L'obiettivo della premier, insomma, resta quello di tenere aperto un canale tra Washington e il Vecchio continente. «L'Italia - dice - può avere buoni rapporti con gli Stati Uniti e se c'è qualcosa che può fare per evitare uno scontro con l'Europa e per costruire ponti, lo farò perché è nell'interesse degli europei». Insomma, Trump non è un avversario ma «il primo alleato» di Roma.
Meloni, infine, aggiunge che da «conservatrice» si sente «sicuramente più vicina al repubblicano Trump che a tanti leader» dell'Ue. Di più. Si dice «d'accordo» con le posizioni espresse dal vicepresidente statunitense J.D. Vance alla Conferenza di Monaco, perché «lo dico da anni» che «l'Europa si è un po' persa». E minimizza il disprezzo mostrato da Trump nel definire i Paesi europei dei «parassiti». Una critica, dice, che «non era rivolta al suo popolo, ma alla sua classe dirigente» e «all'idea che invece di leggere la realtà e trovare risposte si possa imporre alla gente la propria ideologia».
E proprio nel giorno dell'intervista di Meloni al Financial Times - criticatissima dalle opposizioni, con Elly Schelein che l'accusa di aver «gettato la maschera» ed essere «il cavallo di Troia» di Trump - anche Matteo Salvini si schiera apertamente con l'ex tycoon. Perché, dice, «lavora per la pace» a differenza «dell'asse Macron-von der Leyen che parlano di guerra e armi».
Il vicepremier, poi, conferma di essere al lavoro su «una missione con le imprese italiane per rafforzare la partnership con gli Stati Uniti, come da dialogo con Vance». Notizia che certamente non farà fare i salti di gioia all'altro vicepremier, il ministro degli Esteri Antonio Tajani.
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