La Meloni irritata stoppa Casini

Sono nel centrodestra ma diversi da loro. Parafrasando i Måneskin è questa la linea scelta nella partita per il Quirinale da Giorgia Meloni

La Meloni irritata stoppa Casini

Sono nel centrodestra ma diversi da loro. Parafrasando i Måneskin è questa la linea scelta nella partita per il Quirinale da Giorgia Meloni e da Fratelli d'Italia: mantenere alta la bandiera dell'unità della coalizione, ma senza restarsene zitti e buoni. Ecco dunque il «no» secco opposto all'ipotesi-Casini, la scelta di votare, mercoledì, Crosetto (raccogliendo tra l'altro molti più voti di quelli targati Fdi), l'insistenza vana, ma ripetuta nel chiedere a ogni vertice con gli alleati di convergere su un nome «per dare un segnale di compattezza». E anche ieri, per la quarta votazione, pur allineandosi obtorto collo alla scelta del «voto di astensione», Giorgia Meloni non ha nascosto il suo disappunto, che si è tradotto, tra l'altro, nella scelta di molti grandi elettori di Fratelli d'Italia di non rispondere proprio alla chiama, invece di alzarsi e dichiarare la propria astensione al banco della presidenza. L'unità del centrodestra, insomma, per Fdi resta il faro e va salvaguardata a ogni costo, ma la presidente dopo il vertice che ha preceduto il quarto voto ha detto chiaramente di non essere d'accordo con le tattiche (e con la prudenza) imposte dagli alleati.

È uscita «irritata» dal faccia a faccia, non essendo riuscita a convincere Tajani e Salvini a «misurarsi con l'Aula», pur avendo detto ai suoi di essere più che convinta che, puntando sul nome di Elisabetta Casellati, ieri la cinquantina di voti mancanti per il quorum sarebbero saltati fuori. Ma il no è arrivato sia da Salvini, che non può fallire il colpo di mano senza rischiare la leadership della coalizione, che da Fi, intenzionata a non «bruciare» la candidatura della presidente del Senato. Motivazioni che non sono andate giù alla presidente di Fdi, che avrebbe secondo le indiscrezioni chiesto agli alleati di «dire apertamente» se qualcuno voleva puntare su Casini, ribadendo tanto il suo no al centrista quanto l'opportunità di votare per contarsi.

E la posizione unitaria ma «distinta» di Fdi emerge anche dalle dichiarazioni degli altri esponenti del partito della Meloni. Con Isabella Rauti che spiega al Tg2 la scelta di astenersi «senza entusiasmo», rimpiangendo il mancato «voto compatto» sul nome «di un candidato non di sinistra». E con il capogruppo a Palazzo Madama Luca Ciriani che prima sbarra la strada a Casini («non è super partes, è stato eletto con il Pd»), poi definisce «uno sgarbo» l'insistenza sull'ipotesi di un Mattarella-bis, dicendosi anche lui «dispiaciuto» per la scelta dell'astensione.

Così, mentre Giorgia continua a caldeggiare la strada di un candidato d'area, saltano fuori due nomi «alternativi» sui quali vi sarebbe un'apertura anche di Fdi e della sua leader: il costituzionalista Sabino Cassese (mai tenero però con Salvini) e, soprattutto, Elisabetta Belloni, prima donna a raggiungere il vertice dell'intelligence, con quest'ultima candidatura che prende il plauso di Di Maio e che il Pd incasserebbe come «soluzione onorevole».

Anche Ciriani loda il profilo «istituzionale» e «senza targa politica» dell'ex segretario generale della Farnesina, e il nome finisce tra quelli sul tavolo dell'incontro informale tra Meloni e Salvini, nel pomeriggio, prima dell'ennesimo vertice. Con Meloni che, stavolta, come sembra suggerire l'ottimismo del leader del Carroccio, spera che l'unità della coalizione non costringa a una indigesta astensione ma porti a un nome da scrivere sulla scheda.

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