Notre Dame, la metafora della vita di una nazione in bilico tra splendori e miserie

Notre-Dame, a lungo trascurata in nome della laicità, custodisce il genio del popolo

Notre Dame, la metafora della vita di una nazione in bilico tra splendori e miserie

Perché Notre-Dame? Perché sta lì da 861 anni, perché, come ha detto lo stesso Emmanuel Macron nella sua ultima visita, pochi giorni prima dell'inaugurazione di ieri, «è una metafora della vita della nazione», perché, come ha scritto appena un anno fa Maryvonne de Saint-Pulgent, nel suo La gloire de Notre-Dame, «c'è bisogno d'un luogo che si iscriva nel tempo, contrassegnato dalla sacralità e dove la nazione si ritrovi». Ancora: perché, come ha sottolineato lo scrittore e scalatore Sylvain Tesson, uno che già diciottenne si divertiva a scalarla, sospendendosi ai suoi doccioni dalla forma bizzarra, «Parigi è un tappeto e Notre-Dame la preghiera». Infine: perché, come aveva osservato un secolo fa lo scultore Auguste Rodin, «tutta la Francia si riassume in essa, come la Grecia con il Partenone».

Eppure, l'incendio del 2019 ci ricorda anche un'altra verità. Se si esclude, negli anni Novanta, la ripulitura della sua facciata occidentale, era dai tempi ottocenteschi del grande restauro di Viollet-Le-Duc che nessun lavoro di seria manutenzione era stato portato a termine. Inquinamento, piogge acide, incuria, degrado, statue rotte o scheggiate, balaustre rovinate, riparazioni di fortuna erano il segno di una decadenza e di un abbandono a cui nessuna autorità sembrava voler o poter mettere rimedio. L'idea che il Pantheon o la Cour d'Honneur des Invalides potessero essere simbolicamente e come alternativa i templi laici delle grandi celebrazioni nazionali, era stata fatta propria da François Hollande prima, dallo stesso Macron poi, due presidenti che al gusto considerato retrogrado del gotico preferivano il luccichio della postmodernità. C'era voluto un medievista americano del Vassar College, Andrew Tallon, specialista della rappresentazione virtuale delle cattedrali, per dare visivamente conto della gravità del problema e dar vita a una campagna di mecenatismo privato e di disponibilità pubblica che avevano permesso, l'11 aprile del 2019 l'apertura del cantiere di restauro. Quattro giorni dopo, l'incendio, le cui cause ancora oggi restano un mistero. Diabolus fecit hoc...

All'alternarsi di splendori e miserie Notre-Dame è comunque abituata. Quando venne eretta, nel XII secolo, il vescovo Maurice de Sully, preso da entusiasmo mistico, la volle la più alta e la più larga delle cattedrali gotiche francesi in quello che, come ha ricordato lo storico George Duby, era «il tempo delle cattedrali». Per definizione, cattedrale vuol dire la cattedra, ovvero la sede e la sedia del vescovo, qualcosa che però in epoca medievale ha un significato che supera il quadro strettamente religioso. Si tratta di edifici essenziali al prestigio simbolico del potere politico e non a caso la corona di Francia li utilizza per reclamizzare e mettere in scena sé stessa. Così è a Reims che i re vengono unti dal Signore, è a Saint-Denis che vengono sepolti, è a Notre-Dame che il corpo del re defunto viene esposto.

Il ruolo di quest'ultima si fa prioritario via via che la monarchia si assolutizza e la Francia cessa di essere terreno di scontro fra nobiltà, Parlamento e potere dinastico. È Luigi XIII a consacrare il regno alla Vergine Maria, Nostra Signora, è Luigi XIV a utilizzare la cattedrale come scrigno per le cerimonie di corte. Quando una regina di Francia partorisce, è a Notre-Dame che viene a rendere grazie e sarà così sino alla nascita dell'ultimo figlio di Maria Antonietta.

La Rivoluzione francese segna un cambio di passo e insieme un cambio di status. Dapprima il trasferimento della monarchia, da Versailles a Parigi, significa che da quel momento ogni cerimonia sarà celebrata in Notre-Dame. La nascita della Repubblica la trasforma in tempio della Dea Ragione e così in una sorta di simbolo nazionale, sganciato dalla religione cattolica come dalla regalità. Napoleone, facendosi lì consacrare imperatore da papa Pio VII, si muove in quell'ottica, mettendo Notre-Dame al posto di Reims, sé stesso, ovvero la Francia, al posto dei Borboni. Per tutto lOttocento, Notre-Dame oscilla con gli alti e bassi della storia francese. La rivoluzione del 1830, che segna la fine della dinastia dei Borboni, la vede assalita e saccheggiata dai rivoltosi; il matrimonio del 1853 di Napoleone III con l'imperatrice Eugenia, si iscrive nel grande restauro che Viollet-Le-Duc fece dell'edificio, la nascita della Terza Repubblica vede l'anticlericalismo che si rifiuta di entrare in chiesa raggiungere un compromesso nelle parole del leader radicale Edouard Herriot: «La cattedrale gotica è un edificio laico». Nel tempo Notre-Dame si dimostrerà in grado di sopravvivere a ottanta re, due imperatori e cinque repubbliche.

È con il XX secolo che quel suo essere una metafora della nazione assume il suo significato più vero. Il 19 marzo del 1940, il governo di Paul Reynaud assiste nella cattedrale di Notre-Dame alla messa «per la vittoria delle armi di Francia». Il 26 agosto del 1944, vi si celebra la liberazione di Parigi alla presenza di quel generale de Gaulle a cui, un quarto di secolo più tardi, verranno resi gli onori nella solenne cerimonia funebre che gli dà l'ultimo saluto. Lo stesso avverrà per Georges Pompidou e per François Mitterrand.

Non aveva dunque tutti i torti Victor Hugo quando nel suo Notre-Dame de Paris, che è un romanzo del 1831, ma ambientato nel XV secolo, osservava che le cattedrali più che essere opera della Chiesa

sono opera del popolo, ovvero rappresentano il genio delle nazioni, lo testimoniano e lo custodiscono. Anche per questo vanno amate e preservate e, se è il caso, e per lo stesso motivo, ricostruite: com'erano e dov'erano.

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