Una bomba cade sulla testa di centinaia di migranti in Libia. Quaranta morti, quasi 80 feriti. L'attacco viene attribuito da Al Serraj alle truppe aeree del generale Khalifa Haftar, che però smentiscono. "Errore" o meno, quello esploso stanotte è un ordigno che inevitabilmente si abbatte anche sul dibattito politico italiano, con la Lega propensa a pensare che dietro ci sia "una strategia" pianificata. Già, perché la guerra di posizioni tra chi vuole i porti chiusi (Salvini) e chi invece tenta di aprirli (le Ong) si combatte attorno alla definizione (o meno) di Tripoli come "porto sicuro" per gli immigrati.
Il ministero dell'Interno gioca le sue carte per ridurre i flussi migratori proprio sull'affidabilità della Guardia costiera libica. La Marina di Tripoli, addestrata e sostenuta dall'Italia, ha messo in campo un'operazione di controllo della propria zona Sar di competenza che le Ong però contestano. Tanto che nel caso ormai noto di Sea Watch 3, nonostante le autorità libiche avessero assunto il controllo dell'evento Sar, Carola Rackete ha comunque "soccorso le persone in pericolo" avvertendo la Libia. E poi si è pure rifiutata di portare a Tripoli gli immigrati. Il motivo? Il capitano, si legge nell'ordinanza del Gip che ha scarcerato la "capitana" tedesca, ha ritenuto che "la Libia non poteva qualificarsi come porto sicuro". E così si è diretta verso l'Italia.
Non è l'unica a non voler riportare i clandestini a Tripoli. Ieri il pm Luca Patronaggio aveva ribadito che i "porti libici non sono sicuri". L'Onu lo va dicendo da tempo. E sulla stessa posizione stazionano pure il Consiglio d'Europa, la (vecchia) Commissione Europea e Enzo Moavero Milanesi. Non la pensa allo stesso modo, ovviamente, Matteo Salvini. "Noi stiamo collaborando con la Guardia Costiera libica, a cui forniamo uomini e mezzi", diceva il leghista nei giorni scorsi ricordando che "in alcune strutture libiche ci sono inviati dell'Onu e delle associazioni umanitarie". La decisione del gip Alessandra Vella di dare ragione a Carola fa quindi esultare i fan dell'accoglienza. Rafforzati in questi due giorni non solo dalla sentenza favorevole alla "capitana", ma - paradossalmente - anche dall'ordigno sganciato in Libia. "Il bombardamento - si fionda infatti Roberto Speranza - conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, che in Libia è in corso una vera e propria guerra civile. Altro che porti sicuri". E lo stesso sostengono il centro Astalli per i rifugiati e Saviano, che parla di "favola" dei porti sicuri.
Per Alessandro Morelli, deputato leghista, però, quanto successo a Tripoli "dimostra" che dietro serpeggia una "scelta" ideologica chiara. Si stanno insomma "mettendo in mezzo" al dibattito politico "persino" gli immigrati "in guerra". Perché le "bombe non cadono a caso" e se "qualcuno" ha deciso di colpire "un luogo dove ci sono delle persone, evidentemente qua c'è un indirizzo, una strategia".
Quale? Quella "carne umana", ha detto Morelli a Omnibus su La7, viene usata appositamente per una "strategia della tensione", dove i centri di dentenzione entrano in una logica di "battaglia" politica. Quella per determinare se la Libia è davvero un porto sicuro oppure no.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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