Hotel a quattro stelle per immigranti positivi al Covid e per tutti i contatti stretti che devono fare la quarantena. Accade in Calabria, sulle cui coste sbarcano quotidianamente almeno un centinaio di extracomunitari di cui circa il 5-10% risultano positivi. E creano un'emergenza nell'emergenza scaricata sulle autorità locali che tentano di barcamenarsi come possono. Perfino alloggiando questa gente in location in cui molti italiani non potrebbero accedere neppure una volta nella vita. Come l'hotel Germaneto, vicino Catanzaro.
Basta fare un giro su internet per spalancare gli occhi. Una struttura elegante, dotata di piscina coperta, hall arredata con gusto. Le camere sono spaziose, eleganti, con bagno e aria condizionata, televisione. Questo albergo era generalmente dedicato a professionisti di passaggio che chiedono comfort durante gli spostamenti di lavoro. La pandemia lo ha trasformato in un covid hotel, dove la regione dovrebbe accogliere i calabresi che necessitano di isolamento o i turisti che si beccano il Covid in vacanza.
In realtà, dei settanta posti disponibili, solo poche stanze sono destinate alla popolazione locale, il resto delle camere ormai è zona di frontiera. Oggi, per esempio, arriverà un nuovo gruppo di 50 immigrati da isolare che sostituiscono gli altri cinquanta ormai fuori pericolo e trasferiti altrove.
C'è solo il tempo di sanificare e le stanze si riempiono di nuovo. È così da giugno. E andrà avanti a luglio e sicuramente ad agosto. Finché il mare sarà calmo e le barche continueranno ad attraccare. Tra i profughi, qualcuno ha il Covid, gli altri sono contatti stretti. Per loro non ci sarà un centro di prima accoglienza, ma un hotel con una super accoglienza.
«Gli ospiti» rimarranno almeno dieci giorni coccolati in questa ideale vacanza italiana, poi la permanenza sarà meno piacevole, la location meno pretenziosa. E sicuramente meno costosa per le casse dello Stato, cioè le nostre.
Al Germaneto, invece, per ogni extracomunitario si spende giornalmente 65 euro. Le camere doppie 115 euro, quelle a quattro letti, dedicate alle famiglie, 215 euro. Agli ospiti iraniani o iracheni, afgani o egiziani, viene servita colazione, pranzo e cena personalizzata a seconda delle etnie che escludono affettati o carne.
Ai costi vivi del pernottamento si devono poi aggiungere quelli sanitari, tamponi, medicinali, presenza delle squadre dei medici e infermieri che quotidianamente si presentano in hotel. Ci sono pure le forze dell'ordine dedicate al servizio di controllo per evitare fughe rischiose. Una storia infinita di impegno e costi fissi, molto gravosa. Alla fine il conto che paga la collettività è ingente. Solo per l'hotel, tra giugno e luglio, verranno spesi almeno 200 mila euro. E manca agosto.
Fin qui i fatti. Chi racconta la storia, che chiede di restare nell'anonimato, spiega di strutture locali sature. «È una gestione che va rivista completamente: le navi quarantena sono piene e qui non si sa più dove mettere gli immigrati positivi al Covid».
Laggiù al Sud, i drammi scivolano nel silenzio. Compreso la gestione apparentemente dissennata per la gestione degli extracomunitari. È vero che indigna pensare di dedicare hotel a quattro stelle a gente che arriva da noi con i barconi. Ma le prefetture che coordinano l'emergenza si aggrappano a ogni possibile alternativa. Il rischio sanitario è peggio di un buco di bilancio. Se distribuisci gente infetta in altri centri di prima accoglienza zeppe di immigrati può succedere di tutto.
Ma il problema della gestione
resta nell'indifferenza generale. «È un'estrema ratio - spiega la fonte -. Qui stiamo facendo i salti mortali e ci sentiamo soli, abbandonati. È una gestione fallimentare dell'Europa a cui noi dobbiamo mettere una pezza».
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