Migranti, nuovo round toghe-governo

La Libra salpa per l'Albania. Il centrodestra: "I ricorsi non possono bloccare tutto"

Migranti, nuovo round toghe-governo
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La nave Libra della Marina, partita due giorni fa dal porto di Messina, riprende l'attività nel quadro della missione Albania, mentre il decreto legge sui Paesi Sicuri è ormai sulla scrivania dei giudici della Corte di Giustizia Ue. L'hanno mandato lì le toghe bolognesi della sezione immigrazione del tribunale, che ha scelto di interessare della questione la Curia. Insomma, il muro contro muro tra governo e magistratura prosegue, ognuno resta sulle sue posizioni e gli attriti continui provocano scintille e rischiano di innescare incendi.

A testimonianza delle frizioni, da un lato ci sono le parole di esponenti di primo piano del governo - come il vicepremier Salvini e la stessa presidente del consiglio Giorgia Meloni che hanno criticato la decisione del tribunale di Bologna, soprattutto per i toni, che la premier ha definito più da «volantino propagandistico» che da sentenza. Dall'altro c'è la stessa sentenza bolognese che, per stigmatizzare la possibilità di definire «paese d'origine sicuro» una nazione dove vi siano categorie di persone a rischio, sceglie di citare come esempio la Germania nazista, riprendendo peraltro contenuti già espressi dal presidente della sezione in una sua lezione per l'ente di formazione delle toghe.

Prima del decreto la tensione era alta già quando le ordinanze della sezione immigrazione del tribunale di Roma, lo scorso 18 ottobre, avevano costretto la Libra a riportare in Italia i primi 12 migranti ospiti del centro, in quanto le toghe romane non avevano convalidato il loro trattenimento nel centro realizzato in seguito all'accordo tra Roma e Tirana. Come reazione, dopo le critiche del governo, con il Guardasigilli Carlo Nordio in testa, era arrivata la decisione di indicare i Paesi sicuri non più per decreto interministeriale, ma in un decreto legge. Che, appena varato, è stato come detto sottoposto al giudizio della Curia Ue.

Ma gli animi surriscaldati non portano niente di buono. E così a Silvia Albano, una delle giudici artefici dell'ordinanza romana, e che tre anni prima aveva preso per buone le accuse (infondate) di un migrante sulla brutalità della polizia di frontiera italiana in servizio a Trieste, arrivano da qualche non-pensante addirittura minacce di morte, sia sulla sua email personale sia sui canali social di Magistratura democratica, corrente di sinistra dell'Anm che la giudice presiede. Così il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica della capitale dispone la vigilanza nei suoi confronti per migliorare il dispositivo di sicurezza, prevedendo passaggi di pattuglie sia in Tribunale sia sotto casa della giudice.

Intanto i magistrati trovano l'appoggio dell'Unione delle camere penali, che sceglie di scioperare contro il ddl Sicurezza ma con l'occasione strizza l'occhio alle toghe, con il suo presidente Francesco Petrelli che difende la scelta bolognese di ricorrere al rinvio alla Curia. Mentre opposizioni e Ong attaccano l'esecutivo che insiste con l'operazione Albania senza attendere il pronunciamento della Corte di giustizia.

«Se ogni volta che c'è un rinvio di una norma alla Corte Ue si smettesse di applicare quella norma, vivremmo nell'anarchia», replica in un'intervista a Repubblica l'europarlamentare di Fdi Carlo Fidanza, negando che il governo cerchi lo scontro con le toghe, e osservando come «in nessun Paese europeo i magistrati chiedono di non procedere ai rimpatri», tanto che «la Germania sta rimandando indietro addirittura gli afghani».

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