Milano che ti spinge a farsi i fatti propri

Si può partire da una paura per commentare un fatto di cronaca che è poi quella che accomuna tanti, forse tutti, i genitori che salutano i figli che escono la sera per andarsi a divertire

Milano che ti spinge a farsi i fatti propri
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Si può partire da una paura per commentare un fatto di cronaca che è poi quella che accomuna tanti, forse tutti, i genitori che salutano i figli che escono la sera per andarsi a divertire: «Mi raccomando stai attento e fatti i fatti tuoi...». Già, «fatti i fatti tuoi...», che a pensarci bene, è una frase terribile perché sottintende un modo di essere e di vivere, che consiglia, qualsiasi cosa accada, di fregarsene, di tirar dritto, di far finta di non vedere perché chi si mette in mezzo rischia guai. Ed è quello che è successo a un ragazzo milanese di 25 anni che a Baggio, uno dei quartieri periferici della città, è intervenuto per difendere una ragazzina picchiata dal suo fidanzato diciassettenne in mezzo alla strada. Passava di lì, ha visto la scena e ha deciso che non poteva far finta di nulla, che non poteva girare i tacchi e andarsene, che quel ragazzetto che infieriva andava fermato in qualche modo. Insomma ha deciso di «non farseli i fatti suoi». E così ha provato a difenderla ma l'avesse mai fatto. Dopo qualche minuto si è ritrovato accerchiato da un gruppo di amici del giovane rumeno che aveva osato affrontare che lo hanno picchiato selvaggiamente fratturandogli anche diverse costole e lo hanno mandato in ospedale con la prognosi di un mese. Non c'è una morale in tutto ciò. C'è, forse, solo la sgradevole sensazione di cosa siano diventate oggi le grandi città da Milano a Roma, a Torino ma praticamente tutte. Luoghi «sinistri» dove si ha sempre la sensazione che ti possa accadere qualcosa di brutto o comunque di spiacevole. Luoghi «neutri» dove il senso civico viene sempre più calpestato dalla convenienza, dalla voglia di evitare «grane», dove chi non s'impiccia campa cent'anni. Luoghi di diffidenza e di indifferenza che ci portano a sospettare anche di chi ci avvicina magari solo per chiedere un'informazione. «Non ho bisogno di nulla...» si dice per tagliar corto ed evitare complicazioni. Senza neppure pensare che magari qualche volta ad aver bisogno sono gli altri, sono molti di quelli che facciamo finta di non vedere. E allora che si viaggi in metrò nell'ora di punta, che si camini in centro per fare acquisti, che si rincasi tardi la sera, ci si muove un po' tutti con lo sguardo fisso sugli schermi degli smartphone dove scorrono le immagini di una vita surrogata, pronti magari a filmarla e a condividerla un'aggressione ma ovviamente ben guardandosi dall'intervenire. Vale per tutti. Vale nella solitudine sempre più diffusa delle grandi città dove si fa fatica a fidarsi, dove i ragazzi ormai si innamorano e si corteggiano solo nelle chat, dove in molti condomini non ci si conosce neppure, dove se in casa una sera manca il sale oppure si è rimasti senza latte se ne fa a meno piuttosto che suonare al vicino. Vale per i giovani che crescono così e vale per gli anziani che invecchiano sempre più dimenticati quasi fossero d'impiccio. Soli da vivi e spesso anche da morti. Tempo fa a Milano in occasione del funerale di sei anziani deceduti nell'incendio di una Rsa, fu l'arcivescovo Mario Delpini a trovare le sole parole di speranza in un Duomo praticamente deserto: «Non siete un niente che si perde nel nulla, non siete una solitudine desolata destinata a svanire senza che alcuno ne senta la mancanza...». Ma ormai va così.

Che sia un lutto, che sia una violenza tendiamo sempre più a farci i fatti nostri diversamente che nei piccoli paesi, nelle piccole comunità contadine dove il tempo scorre più lento, dove la rete di solidarietà è più fitta, dove ancora ci si conosce e ci si frequenta, dove ancora un po' ci si fa «i fatti degli altri». Che sembra un cosa brutta ma poi, a pensarci bene, forse non lo è...

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