Roma. «Napolitano telefonava alla Merkel con una certa regolarità», ha confessato con rammarico Silvio Berlusconi nella sua biografia My Way scritta con Alan Friedman. Il Cavaliere ha sempre saputo che la sua defenestrazione da Palazzo Chigi nel 2011 fosse stata causata da un accordo tra l'allora presidente della Repubblica e il cancelliere tedesco. Nel giugno di cinque anni fa era stato già preallertato Mario Monti per l'avvicendamento programmato. «Mi ha dato segnali in quel senso», dichiarò il bocconiano tanto caro a Berlino.
La mossa di Deutsche Bank, che in quell'estate prima rassicurò i mercati sull'Italia e poi cedette di colpo quasi 8 miliardi di Btp facendone crollare il valore con lo spread schizzato a 500 punti, fu subito interpretata in modo sospetto. La principale banca tedesca aveva preso quella decisione in completa autonomia? La Procura di Trani indaga da anni su questo e sull'analoga azione dell'agenzia di rating Standard & Poor's del settembre 2011 che declassò l'Italia senza preavviso causando un nuovo collasso dei titoli di Stato. In mezzo la famosa lettera della Bce che imponeva un programma di riforme draconiane (poi attuato da Monti), una lettera che Berlusconi ha sempre sospettato ispirata dal duo Napolitano-Merkel. L'epilogo arriva nel G20 di Cannes del 3 e 4 novembre 2011. Renato Brunetta nel libro Berlusconi deve cadere ha raccontato come «alla vigilia il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si rifiutò di firmare il decreto Sviluppo che attuava gli impegni presi con la Commissione Ue, costringendo Berlusconi a recarsi al vertice a mani vuote».
L'ex premier spagnolo, José Luís Zapatero, e l'ex segretario Usa al Tesoro, Timothy Geithner, nelle rispettive autobiografie confermarono le forti pressioni che l'Europa esercitò tanto nei confronti di Berlusconi quanto verso l'amministrazione americana per convincere l'Italia ad accettare un prestito del Fondo monetario internazionale. «Berlusconi e Tremonti si difesero con un catenaccio in piena regola», scrisse Zapatero.
Il dubbio fondato, espresso da altri testimoni autorevoli, è che il Cavaliere abbia finito con lo scontare a caro prezzo «l'ipotesi di uscita dall'euro ventilata in colloqui privati», così come le forti critiche alla gestione tedesca dell'unione monetaria. Il Parlamento non ha finora voluto istituire una commissione d'inchiesta. Eppure Renzi sa bene che attaccando la Germania si gioca con il fuoco. GDeF
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