«Mi torna il terrore se penso ai suoi occhi quella notte. Non erano occhi umani». Monica Marchioni si definisce una «miracolata» e quando ripercorre quella sera di tre anni fa, non smette di ripetere: «Sembra la scena di un film horror». Eppure tutto è tragicamente vero. Suo figlio Alessandro Leon, allora 19 anni, tenta di ammazzare lei e uccide il suo secondo marito Loreno Grimaldi, servendo a entrambi un piatto di pennette al salmone avvelenate. Ricostruire quelle ore è straziante. «Ma come cazzo è che non muori? Come fai a essere ancora viva?» sono le parole che Alessandro urla in faccia alla madre quando capisce di non essere riuscito nell'impresa. Poi ingaggia una colluttazione di 40 minuti, le impedisce di soccorrere il marito e tenta di soffocarla. È il 15 aprile 2021 nella casa di Ceretolo di Casalecchio, Bologna. Monica Marchioni rivive tutto nel libro Era mio figlio (edizioni Minerva, pagg. 144, euro 15), scritto con la giornalista Cristina Battista, e in questa chiacchierata con noi.
Monica, dopo l'omicidio di suo marito lei ha cercato la morte. Prova ancora quel «costante terrore»?
«Paradossalmente ora è più difficile. All'inizio c'è una rete che ti aiuta, ci sono i farmaci. Poi la tua mente si rischiara e ti rendi conto di cosa è successo alla tua vita. Mi aiuta moltissimo la preghiera, che non è di una religione precisa. È una forma di meditazione, in cui parlo con mio marito e col divino».
Lei dice: «La mia storia deve servire ai genitori additati perché io non sono stata una mamma assente». Potrebbe succedere a chiunque?
«Lo abbiamo visto con i Turetta (i genitori di Filippo, assassino di Giulia Cecchettin). Non credo avessero coscienza che loro figlio potesse trasformarsi in un killer. Lo stesso vale per i genitori di Benno Neumair. Sono convinta che l'educazione conti, ma anche la fortuna».
Suo figlio ha provato a far passare lei per carnefice.
«Per un anno e mezzo in tribunale sono stata crocifissa. Si è sostenuto che fossi stata io a tentare di uccidere mio marito, per l'eredità. Poi la verità è venuta a galla. Ma sono stata vittima due volte».
Si è sentita giudicata fuori dall'aula? Ha ricevuto insulti?
«Il peggiore da una donna sui social: madre fallita».
Aveva intuito che qualcosa non andasse?
«Alessandro era un adolescente difficile, ma buono. Solo nelle ultime settimane c'era uno strano clima in casa. Lo trovavo freddo, bugiardo. Mai avrei immaginato quello che è successo».
Lei ammette di essersi incolpata di tutto all'inizio. Si è chiesta cosa avrebbe potuto fare di diverso. Ha trovato risposta?
«Ho capito che per quanto un figlio possa essere maltrattato (e mio figlio non lo era), abbandonato (e non era il nostro caso), per quanto lo si possa trattare troppo da amico (e io non lo facevo), un figlio non uccide i genitori».
Che spiegazione si è data?
«È come se a un certo punto un gene malato, slatentizzato nell'adolescenza, abbia preso il sopravvento insieme a qualcosa di malevolo, addirittura di esoterico».
È vero che non riesce ancora a sentire la sua voce?
«È così. Quella di mio marito invece la ascolto perché è la prima cosa che si dimentica».
Alessandro si è mai fatto sentire?
«Dopo la confessione in cui ha ammesso la verità. Mi è arrivata qualche lettera, ma non voglio aggiungere altro».
I casi di cronaca in cui i ragazzi sono protagonisti di violenza si moltiplicano. Che spiegazioni si dà?
«La mia idea è che questo male dipenda molto anche da come sta andando la società. Internet e social sono pieni di tanti signor nessuno che dicono come far soldi ed essere belli a tutti i costi. Vedo ragazzi sempre più insicuri e sempre più fragili».
Lei dice: «Mi manca poter abbracciare mio figlio e sentire il suo odore». Se decidesse di incontrarlo, cosa gli direbbe?
«Gli chiederei come ha potuto vedere Lollo che stava morendo e non aiutarlo».
Ha idea di quale percorso stia facendo in carcere?
«Ho saputo che studia. Sono contenta per lui, ma mi fa anche tanta rabbia perché io e mio marito ci siamo dannati per fargli proseguire la scuola».
Suo figlio ha ammesso le sue colpe. È l'inizio di una redenzione?
«Mi auguro per lui che sia un pentimento reale, non solo finalizzato a un percorso carcerario ridotto».
Prova odio? Potrà mai perdonare?
«Il perdono ancora no, non mi fido ancora. Nonostante tutto, odio per mio figlio non ne ho mai provato. E forse mi avrebbe aiutato».
Lei spera che la sua storia sia utile ad altre vittime. Come?
«Vorrei dire a quei genitori che finiscono sul banco degli imputati perché hanno figli violenti di non farsi travolgere dalle cattiverie, perché non è vero che certe cose capitano solo nelle
famiglie disfunzionali. E vorrei dare la mia forza a tutte le vittime che vengono ribullizzate, comprese le donne che hanno subito violenza, perché non si facciano demolire dagli odiatori. Vorrei che non si sentissero soli».
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