Mister social opportunista e la fine del buonismo

E così, all'acme dell'ipocrisia, Zuckerberg ha iniziato la sua veloce conversione alla dottrina Trump. Anzi, velocissima

Mister social opportunista e la fine del buonismo
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Se Elon Musk fosse una malattia contagiosa, il paziente zero sarebbe senza ombra di dubbio Mark Zuckerberg. Il fondatore di Facebook, dopo essere stato per anni il cicisbeo del mondo progressista e radical ma, soprattutto, dopo essere stato l'incubatore globale di tutte le ossessioni politicamente corrette, è rimasto folgorato sulla via di Musk e Trump, via che molto probabilmente passa da Wall Street. Zuckerberg, qualche giorno fa, ha infatti annunciato lo stop ai programmi di fact checking sulle sue piattaforme perché «troppo politicamente di parte». Primo passo verso la «muskizzazione» della sua persona e dei suoi social. Mossa dettata da interessi economici: quando governava Biden non si faceva scrupoli a censurare i contenuti sul Covid che non piacevano all'allora inquilino della Casa Bianca, come ha candidamente ammesso lo scorso agosto alla Commissione Giustizia della Camera americana. Ma, come spesso accade, traslocano gli inquilini, ma restano gli stessi camerieri. E così, all'acme dell'ipocrisia, Zuckerberg ha iniziato la sua veloce conversione alla dottrina Trump. Anzi, velocissima. È infatti di ieri la notizia che Meta interrompe i suoi programmi di diversità, equità e inclusione che riguardavano anche le assunzioni interne. Quindi, immaginiamo, niente più quote per Lgbtqia+ o minoranza etniche, ma una tradizionale valutazione delle competenze curricolari in base al merito. In tutto ciò ci sono alcuni lati positivi: innanzitutto ci ha tolto dai piedi quegli insopportabili fact checker, che non sono mai stati scrupolosi verificatori di notizie, ma saputelli faziosi e autoritari rompiscatole; in secondo luogo ha ridato spazio a una meritocrazia troppo spesso dimenticata in favore delle più improbabili «quote». E poi c'è un'altra cosa: Zuckerberg è a suo modo uno straordinario barometro dei nostri tempi.

E se lui, proprietario della più grande cattedrale di quel buonismo radical che con gli algoritmi sbianchettava tutte le idee che uscivano dall'orticello woke, ha deciso di fare questa tardiva inversione di marcia, beh, allora possiamo dirlo ufficialmente: il politicamente corretto è morto. È una di quelle mode dell'altro ieri che sopravvive solo nell'armadio del pensiero trasandato e tra poco finirà come merce invenduta ai mercatini dell'usato. E questa è una buona notizia.

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