Dopo 43 anni, commemorati ieri con una cerimonia in via Fani e la deposizione di una corona del capo dello Stato Sergio Mattarella, la caccia è ancora aperta. Il caso Moro non finisce mai, e non finiscono nemmeno le sorprese sul sequestro e l'omicidio dello statista democristiano, rapito dalle Br il 16 marzo del 1978 nel cruento agguato di via Fani nel quale persero la vita i cinque uomini della sua scorta e poi ammazzato 55 giorni dopo nel bagagliaio di una Renault 4 rossa che fu poi abbandonata in via Caetani, nel centro storico di Roma, a metà strada tra le storiche sedi di Pci e Dc, via delle Botteghe Oscure e piazza del Gesù. In occasione dell'anniversario del sequestro, torna a scrivere del «cold case» Moro Maria Antonietta Calabrò, con una ricostruzione sull'Huffington Post degli ultimi sviluppi delle indagini, svolte in anni recenti dalla scientifica con mezzi che a fine anni 70 non erano disponibili. Saltano così fuori sorprese interessanti dall'analisi del Dna prelevato (coattivamente, visto che gli interessati si erano rifiutati di procedere volontariamente) il mese scorso a una serie di brigatisti coinvolti nel sequestro, ma anche ad alcuni bierre che erano considerati da sempre estranei al rapimento. I profili genetici da «svelare» erano stati raccolti nel 2016, all'interno della Fiat 128 Giardinetta che servì ai terroristi per fermare il convoglio di Moro in via Fani e nel covo di via Gradoli.
Così ora viene fuori che almeno 7 impronte genetiche tra quelle raccolte sulla scena dell'agguato e nel covo sono ancora senza un nome, e potrebbero aiutare a gettare una luce nuova e diversa su quella terribile pagina della storia del nostro Paese, chiarendo per esempio il ruolo dei terroristi tedeschi della Raf nel blitz di via Fani, e facendo luce su una versione troppo «accomodata» per essere credibile. Un dettaglio, i sette «invisibili» ancora senza nome presenti sulla scena, che coincide tra l'altro quasi perfettamente con le conclusioni della Commissione Moro 2, che ha stabilito come quella mattina in via Fani vi fossero almeno 20 terroristi e non 12, come le Br hanno sempre sostenuto in interrogatori e processi. La ricostruzione dell'Huffington Post ricorda anche l'avvistamento, cinque giorni dopo il sequestro, il 21 marzo, di un furgone Hanomag-Henschel giallo e di una Mercedes marrone a Viterbo, diretti verso Nord con 7 persone a bordo, due nel furgone e 5 nella berlina. Il testimone, Roberto Lauricella, allora 15enne, appassionato di armi e storia militare, vide i due veicoli accostare, e notò tra le gambe di un passeggero del secondo veicolo una mitraglietta Mp40. Il ragazzo, che riuscì ad annotare la targa del furgone e parte di quella della Mercedes oggi è un maresciallo dei Carabinieri, ed è stato riascoltato nel 2015, confermando che non gli «furono mai mostrate immagini ai fini di un eventuale riconoscimento personale». La targa del furgone venne ritrovata in una tipografia a Hebertsfelden, in Germania, e il pulmino venne collegato da Interpol e autorità tedesche a due componenti della Raf.
E in fondo, ricorda il pezzo dell'Huffington, fu anche Abu Bassam Sharif, ex leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, a confermare, parlando con la commissione d'inchiesta nel 2017, che difficilmente «le Brigate Rosse avrebbero avuto la possibilità di uccidere cinque guardie del corpo senza nemmeno ferire Moro».
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