Roma caput Africae e del mare nostrum, il Mediterraneo allargato riunito alla Farnesina con la regia di Giorgia Meloni, che è molto cambiata nell'approccio all'immigrazione clandestina.
Il pugno di ferro del blocco navale e gli strali contro l'Europa matrigna, da campagna elettorale, hanno lasciato il posto ad una realpolitik dettata dal passaggio di leader minoritaria dell'opposizione a presidente del Consiglio. Molti elettori, che l'hanno votata sperando nel «tutto e subito», sono scontenti, ma il cambio di passo di Giorgia non significa cambio di marcia. La premier sta portando a casa risultati impensabili per una leader della destra ancora dipinta con fez e manganello da chi è rimasto fermo allo scorso secolo. Meloni con il suo governo è riuscita a convincere l'Europa unita a concentrarsi sulla dimensione esterna della crisi migratoria. La dimostrazione concreta è la conferenza di ieri a Roma, un successo diplomatico che rappresenta il primo passo del piano Mattei per l'Africa. Ora, però, le belle parole, devono cominciare a trasformarsi in progetti concreti sul campo. L'Europa non è più matrigna, ma piuttosto madrina del governo italiano. Ieri la presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, ha non solo difeso, ma proposto come esempio il primo tassello del disegno di Giorgia Meloni, per aggredire l'immigrazione clandestina, il partenariato strategico con la Tunisia tanto inviso ai talebani dell'accoglienza. E ribadito che si tratta di «un modello per il futuro» da replicare «con altri Paesi nella regione». Il patto d'acciaio Von der Leyen-Meloni non è solo geopolitico sul fronte dell'immigrazione, ma riguarda le elezioni europee del prossimo anno. La premier, soprattutto se il centro destra vincesse in Spagna e il voto per l'Europarlamento darà i risultati sperati, punta a scalzare i socialisti garantendo il posto alla presidente della Commissione.
Per fermare gli sbarchi non basta rafforzare la Guardia costiera tunisina o libica, che in ogni caso hanno già intercettato oltre 40mila migranti da gennaio. Fondamentale sarà il ritorno a casa dei tunisini arrivati illegalmente da noi e ancor più i rimpatri dei migranti sub sahariani che transitano dalla Tunisia o dalla Libia. Altro punto cruciale è la lotta ai trafficanti, quelli veri, se necessario con metodi poco ortodossi. Non a caso ai leader ospiti a Roma, la premier ha proposto «un coordinamento tra le nostre strutture di intelligence perché parliamo sempre degli scafisti, ma lo scafista è l'ultimo anello di una catena sempre più lunga in queste organizzazioni».
L'aspetto «securitario» come dicono con disprezzo le Ong, non è sufficiente. Meloni, nel suo cambio di passo con il piano Mattei, ha chiarissimo che la bomba migratoria si disinnesca solo aggredendo i nodi alla radice. Per questo la vera sfida sarà «lo sviluppo in Africa e più in generale nei Paesi di provenienza delle rotte dei migranti» ha spiegato la premier. E per farlo ci sarà bisogno dei soldi europei, ma pure delle nostre imprese. L'Italia è già impegnata in Africa per poco meno di un miliardo di euro. A queste risorse si sommeranno quelle a favore del clima, tre miliardi nei prossimi anni. E poi ci sono i 300 miliardi del Global gateway, mega investimento Ue, citati da von Der Leyen. Non si tratta di farli calare dall'alto o peggio, scambiarli per regalie, anticamera della corruzione, ma bisogna coinvolgere veramente «i paesi che utilizzeranno le risorse» ha sottolineato Meloni. Energia pulita, tanto cara ai vertici di Bruxelles, ma anche i vecchi gas e petrolio, grandi infrastrutture, accordi sempre più stretti su risorse e sicurezza alimentare nel Mediterraneo allargato sono tutti tasselli strategici del piano Mattei con l'Italia capofila.
L'unico difetto è il tempo: visioni strategiche di questa portata hanno bisogno di anni per dare i frutti sperati sulla crisi migratoria. Gli sbarchi, al contrario, aumentano ogni giorno con un ritmo di due volte e mezzo rispetto all'impennata del 2022. Se facciamo una stima al ribasso, del doppio degli arrivi, vuole dire 200mila migranti a fine anno.
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