Morti in 700 per pregare. Come integrare un islam così fanatico?

C'è da chiedersi perché portare a termine il rito devozionale di inginocchiarsi davanti alla immagine della Madonna di Lourdes o alle reliquie dell'apostolo Giacomo a Compostela non comporti i risvolti della "lapidazione di Satana"

Oltre settecento morti - per ora - e ottocento feriti. Questo il bilancio della «ressa» alla Mecca. Dove simili tragedie si ripetono con sconcertante frequenza e ciò nonostante le ingentissime spese sostenute dall'Arabia Saudita, che è custode del luogo santo, per mettere in sicurezza l'area dove in occasione dell'Hajj, quinto pilastro dell'islam, si concentrano milioni di pellegrini. Tunnel, sopraelevate, sensori, telecamere, imponente schieramento di forze dell'ordine seguitano a non servire a niente. Alla Mecca si continua a morire.

La fede ha sempre fornito occasioni per adunare folle di credenti. Già a partire dai primi giubilei del Trecento, imponenti masse di fedeli si riversavano a Roma, obbligando le autorità a istituire persino sensi di marcia nelle strade del rione Ponte, così come, lo ricorda Dante, sul ponte di Sant'Angelo medesimo. Eppure, nelle grandi mete di pellegrinaggi la calca non dava e tuttora non dà occasione di morte nelle proporzioni alle quali ci ha abituato l'Hajj. E non è questione di pìetas , dell'atteggiamento di devozione dei pellegrini, similare fra cristiani e musulmani pur mutando negli aspetti esteriori. C'è dunque da chiedersi perché portare a termine il rito devozionale di inginocchiarsi davanti alla immagine della Madonna di Lourdes o alle reliquie dell'apostolo Giacomo a Compostela non comporti i risvolti luttuosi della «lapidazione di Satana», liturgia da assolvere nel corso del pellegrinaggio alla Mecca. Non potendo che concluderne che è un fatto di cultura e quindi di civiltà nella quale l'impeto, l'assalto fanatico, ha un posto privilegiato. Anche quando nella nostra, di cultura, viene giudicato irrazionale. Anche quando è noto in tutto il mondo islamico che quell'assalto, quello ai cippi dove lanciare pietre per lapidare il demonio, è foriero di molte, moltissime vite spezzate.

Un aspetto da tener presente allorché si affronta il tema del dialogo multiculturale inteso, come caparbiamente lo si intende, quale incontro fra consimili.

Perché così non è: la struttura culturale islamica merita rispetto e riguardi, per carità, ma è altra. Diversa. E in molti casi in discordia con la nostra. E dove c'è discordia c'è forse spazio per il dialogo che non sia di contestazione?

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