Decisi a restare, ma pronti a evacuare. Per ora il Cremlino sembra aver deciso così. Le sorti della base navale di Tartus e di quella aerea di Hmeimim, entrambe situate nella regione nord occidentale di Latakya, non si decidono, però solo a Mosca. Nonostante le trattative condotte da Vladimir Putin e dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan nei giorni precedenti la caduta di Bashar Assad, gli accordi tra Ankara e Mosca non bastano a garantire la permanenza delle basi militari russe in Siria. Molto dipenderà dalla volontà di Ankara di far rispettare le intese adoperando l'influenza esercitata su Hayat Tahrir Al Sham, il gruppo jihadista guidato da Ahmad al-Sharaa (alias Abu Mohammed al-Jolani) salito al potere a Damasco. Ma dipenderà anche dalla disponibilità di Al Jolani ad obbedire agli ordini di Ankara.
In questo risiko i primi a sapere di muoversi sul filo del rasoio sono i russi. Non a caso i loro carri armati, seguiti da lunghi convogli di blindati e camion carichi di soldati, si stanno dirigendo verso Tartus ed Hmeimim dopo aver abbandonato gli avamposti disseminati nelle zone di Mambji, Kobane e in tutte le altre regioni dell'est e nel nord est della Siria. In attesa di capire se i colloqui con Hayat Tahrir Al Sham si trasformeranno in accordi credibili e di lunga durata, Mosca sta rivedendo la propria presenza nel nord della Siria in termini di mezzi e uomini. I due Antonov AN 124, i più grandi aerei da trasporto del mondo, rimasti parcheggiati sulla pista negli ultimi giorni, fanno capire che è in corso un trasloco in grande stile. Esaurita l'avventura militare in territorio siriano, Mosca deve necessariamente far rientrare tutto il materiale utilizzato per il controllo del territorio al di fuori delle due principali basi siriane. Ma non tutto quel materiale viaggerà verso la madre patria. Le tracce radar di alcuni cargo già decollati dalla base portano alla base libica di Al Khadim ad est di Bengasi. Grazie agli accordi intessuti con il generale libico Khalifa Haftar, Mosca punta a spostare lì buona parte di aerei ed armamenti concentrati fin qui in Siria. E rafforzare così la propria presenza su quel quadrante africano dove ha stretto intese militari con Mali, Niger, Ciad Sudan e Repubblica Centrafricana. Ma se Al Khadim sostituirà Hmeimim, allora le banchine di Bengasi potranno trasformarsi nell'equivalente di Tartus e diventare il nuovo cardine della presenza navale russa nel Mediterraneo. Ovviamente Tartus e Bengasi non si equivalgono né strategicamente, né strutturalmente. A Tartus la marina russa è di casa fin dal lontano 1971, quando Hafez Assad, padre di Bashar, strinse il primo accordo con l'Unione Sovietica di Leonid Breznev. Un accordo rinnovato nel 2017 a titolo gratuito per altri 49 anni in cambio degli aiuti militari garantiti a Damasco. Ma Tartus, oltre a rappresentare un buon affare, è in una posizione strategica per riparare e rifornire le navi provenienti dai mari del Nord e dirette, dopo aver circumnavigato l'Europa, verso un Mar Nero diventato uno dei teatri della guerra con l'Ucraina.
Perdere Tartous
significherebbe in un quadro strategico restare più lontani dal quadrante marittimo dell'Ucraina. E subire lo stretto controllo di quei paesi Nato - Italia in testa - preoccupati dalla presenza russa in Africa e Mediterraneo centrale.
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