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Mottarone, la perizia choc: "Fune rotta prima del crollo"

Gli esperti: "Il 68% del cavo era già compromesso. Controlli adeguati avrebbero evitato la tragedia"

Mottarone, la perizia choc: "Fune rotta prima del crollo"

«Si esclude che la sciagura si sia determinata per cause accidentali, ma sia da imputare a una gestione che non rispettava le regole del settore».

Sono forse queste le parole più dure che si leggono nella perizia eseguita sulla cabina numero 3 della funivia del Mottarone, precipitata il 23 maggio dell'anno scorso e che costò la vita a quattordici persone. Gli esperti incaricati dal tribunale di analizzare struttura, funzionamento e gestione dell'impianto, dopo un lavoro durato più di un anno, hanno risposto ai quesiti del Gip di Verbania, affermando in maniera chiara che quella strage poteva essere evitata. Bastava eseguire un'adeguata manutenzione e i dovuti controlli. Nelle oltre mille pagine che riportano le analisi eseguite su ciò che resta della cabina, hanno evidenziato più volte la carenza della manutenzione, con oltre la metà dei 114 fili del cavo traente del secondo troncone che si erano spezzati per fatica, ben prima del giorno fatale. L'incidente è accaduto per la rottura della fune traente, in un punto all'interno del manicotto, dove i controlli potevano essere fatti solo a vista ma che non veniva smontato da tempo. Però la strage poteva essere ancora evitata, se non vi fosse stata anche la manomissione di dispositivi di sicurezza. Infatti i freni di emergenza erano stati bloccati, per evitare che una ricorrente perdita di pressione nelle centraline bloccasse l'impianto di risalita. Dopo l'incidente, fu lo stesso caposervizio Gabriele Tadini, ad ammettere di aver disinserito i freni con i così detti forchettoni. Inserirli per disattivare i freni, però, «è assolutamente in contrasto con le normative in quanto i freni di emergenza hanno la funzione di impedire che, a seguito della rottura della fune traente ne consegua la precipitazione del veicolo». I video dell'impianto di videosorveglianza, hanno evidenziato che i forchettoni erano disinseriti da almeno due settimane, ma questo non era stato annotato sul «registro giornale».

Il bilancio della tragedia poteva essere ancora più pesante se non fosse che nella cabina numero 4 - la gemella della 3, precipitata nel vuoto - il dispositivo di emergenza era in funzione e quindi non si staccò. La causa della frattura è il degrado della fune stessa verificatosi in corrispondenza dell'innesto nella testa fusa, punto più delicato della fune. E si precisa che: «La fune era appena in grado di portare uno sforzo di trazione pari a circa dieci tonnellate, corrispondenti al 20-25 per cento del tiro nominale della fune integra». La testa fusa era fatta a regola d'arte, poiché nessun filo si è sfilato, ma la situazione era molto diversa pochi centimetri dopo lungo il cavo. «L'analisi frattografica - si legge nella perizia - ha mostrato che, in corrispondenza del punto di rottura, il 68 per cento dei fili presenta superfici di frattura che testimoniano una rottura a fatica e fatica-corrosione dei fili ragionevolmente antecedente la precipitazione».

Le conclusioni delle analisi saranno discusse in tre udienze dell'incidente probatorio a fine ottobre dal pm Olimpia Bossi e dai legali degli indagati.

Tra loro le tre figure che erano a capo dell'impianto: l'esercente Luigi Nerini, il caposervizio Gabriele Tadini e il direttore d'esercizio Enrico Perocchio, oltre a due società: la Ferrovie del Mottarone che gestiva la funivia e la Leitner che aveva ristrutturato l'impianto e ne curava la manutenzione.

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