"Negoziati con Hamas sotto il fuoco"

Israele intensifica l'offensiva nel centro di Gaza mentre Netanyahu minaccia Beirut

"Negoziati con Hamas sotto il fuoco"
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Lanci di pietre contro i residenti arabi, scontri violenti nel quartiere musulmano della Città Vecchia di Gerusalemme. Gli ultranazionalisti israeliani sfilano e cantano «Morte agli arabi» nel Jerusalem day che celebra la conquista di Gerusalemme est e dei suoi luoghi sacri al termine della Guerra dei sei giorni del 1967. La tensione è altissima e tangibile prima e durante la Marcia delle Bandiere, che ricorda la «riunificazione». Il giornalista del quotidiano israeliano progressista «Haaretz», Nir Hasson, denuncia di essere stato aggredito da manifestanti di destra, preso a calci fino all'intervento della polizia. Almeno 5 ultraortodossi sono stati arrestati, in totale 18 persone, tra cui una in possesso di un coltello. L'intolleranza e l'odio fra le due comunità sono cresciuti dopo 8 mesi di guerra a Gaza. Il ministro della sicurezza Ben Gvir dà voce all'ultradestra e soffia sul fuoco: «Gerusalemme è nostra. Il Monte del Tempio è nostro. E se Dio vuole, la vittoria completa è nostra».

Non c'è solo il fronte bellico nella Striscia a preoccupare, con Israele che continua a colpire a Rafah e intensifica l'offensiva nel centro dell'enclave, avviando un'operazione militare nel campo di Bureij, da cui si era ritirata a gennaio, e a est della città di Deir al-Balah. Secondo Msf, 300 persone sono rimaste ferite, 70 uccise in 48 ore, portando a quasi 37mila il totale. Da Kiryat Shmona, al confine con il Libano, il premier Benjamin Netanyahu ribadisce che Israele è «pronto a un'azione estremamente potente nel nord», dove i miliziani filo-iraniani di Hezbollah, continuano ad attaccare con razzi e droni (11 feriti a Hurfeish, uno grave). Tensioni «estremamente pericolose» per Washington, che avverte di non volere un'escalation, nuove vittime e danni alla stabilità nella regione. Ma Israele aumenta da 300mila a 350mila i riservisti da richiamare in caso di necessità. Ieri mattina, a Beirut, 4 persone sono state arrestate dopo che un siriano ha aperto il fuoco davanti l'ambasciata americana.

In questo contesto è arrivato ieri a Doha il capo della Cia William Burns. In Qatar si stanno svolgendo gli incontri fra il primo ministro, l'intelligence egiziana e Hamas. Oggi sarà la volta, al Cairo, di Brett McGurk, inviato di Joe Biden in Medio Oriente. I negoziati per il cessate il fuoco sono a un momento cruciale e Biden preme per spegnere il conflitto, o quanto meno congelarlo, dopo aver reso nota l'ultima proposta su cui trattare con Hamas. «Israele la sostiene», ha ribadito Washington. Ma il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ha fatto sapere che tratterà «seriamente e positivamente» solo per arrivare al ritiro definitivo di Israele da Gaza e alla fine del conflitto. Condizioni inaccettabili per Israele. Il ministro della difesa israeliano Gallant è perentorio: «Qualsiasi negoziato con Hamas sarà condotto solo sotto il fuoco».

L'ultradestra di «Potere per Israele», il partito del ministro Ben Gvir, che ha minacciato di lasciare il governo se venisse accettata la proposta annunciata dagli Usa, ha sospeso la presenza nell'esecutivo «fino a quando Netanyahu non avrà fornito i dettagli» dell'offerta, che Ben Gvir è convinto siano tenuti nascosti. Ma anche all'interno dell'universo ultraortodosso ci sono fratture. Il partito Shas è favorevole all'intesa.

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