
Appena iniziata ma già in stallo la partita sui dazi tra Ue e Usa. Si è seduto allo scomodo tavolo americano il commissario Ue al Commercio Maros Sefcovic, avanzando paletti (come sull'agroalimentare), dubbi, rilievi e proposte di Bruxelles per dare seguito alla sospensione di 90 giorni decisa da Donald Trump. Ma dalla Casa Bianca arriva un no al negoziato, per ora, con la conseguenza che la minaccia europea di tassare le big tech resta lì, come una sorta di arma di reazione rapida. Ma per quanto potrà andare avanti questo schema? E soprattutto, quali sono le reali prospettive per l'Europa alla ricerca di una soluzione pratica ed efficace?
L'incontro durato due ore tra il commissario Sefcovic con Howard Lutnick, segretario per il Commercio Usa, e Jamieson Greer, rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, «non è stato un dialogo tra sordi, bensì molto mirato e produttivo» ha detto un portavoce della Commissione europea, parole smentite dal muro a stelle e strisce alzato dai due. Ufficialmente l'Ue ha giocato le carte annunciate da Ursula von der Leyen, ovvero tariffe zero a zero sui prodotti industriali, auto incluse, ma senza disdegnare altri ambiti, come la sovraccapacità globale per acciaio e alluminio, la resilienza delle catene europee di approvvigionamento nei semiconduttori e nei prodotti farmaceutici. A questo punto il processo potrà continuare solo grazie a «un ulteriore livello di impegno da parte degli Stati Uniti» che al momento non si vede, anzi, dei notevoli «sforzi congiunti per un'intesa» chiesti dall'Ue alla Casa Bianca non vi è alcun sentore all'orizzonte. Inoltre il team di negoziatori trumpiani che ha ricevuto Sefcovic non avrebbe replicato cosa vuole nel merito dai colloqui commerciali.
Di sicuro c'è solo il piano B di Bruxelles, incarnato dalla possibilità di elevare multe alle big tech per la violazione del Digital Markets Act. È stata la stessa presidente della Commissione a dichiarare alla vigilia del viaggio di Sefcovic a Washington che, se il dialogo dovesse fallire, verrebbe applicata una tassa sulla raccolta di pubblicità digitale che colpirebbe Google e Meta, come parziale risarcimento per i mancati pagamenti dell'Iva da parte dei colossi Usa.
«In questo momento i nostri rapporti reciproci» con gli Stati Uniti sono «complicati», certifica Von der Leyen dalle colonne di Die Zeit, ciò che è cruciale in questa situazione è che «noi europei sappiamo esattamente cosa vogliamo», e lancia anche un messaggio oltreoceano. Quando osserva di essere un'amica dell'America e una convinta atlantista, aggiunge un «ma»: è il riferimento a una nuova realtà che include anche il fatto «che molti altri Stati stanno cercando di avvicinarsi a noi», con riferimento alle interlocuzioni Ue-Asia-Indopacifico. Certamente, aggiunge, in Europa si registrano enormi fatturati e profitti nei servizi digitali quindi «nessuna azienda vuole perdere l'accesso a questo mercato», tornando sul tema big tech.
Parallelamente c'è anche la questione energetica a intrecciarsi con il paniere di prodotti, grazie alla possibilità di aumentare gli acquisti di gnl americano. Una data cerchiata in rosso, sperando non sia tardiva, è quella del 6 maggio quando sarà presentato il nuovo piano energetico europeo per sganciarsi completamente dal mercato russo, partita in cui non c'è coinvolta solo Washington, stando ai recenti contatti di von der Leyen con Singapore, Cina e Nuova Zelanda.
Per cui stando così le cose l'Ue rischia tariffe più elevate, perché i dazi «reciproci» del 20%, messi in stand by per tre mesi da Trump, non saranno rimossi completamente, quindi le esportazioni europee sono attualmente soggette a un'imposta del 10%.
Chi può non piangere (forse) è il Regno Unito, che secondo il vicepresidente JD Vance ha «buone probabilità» di raggiungere un accordo commerciale «ottimo» con gli Stati Uniti. «C'è una vera affinità culturale. E naturalmente, fondamentalmente l'America è un paese anglosassone», ha spiegato il numero due di Trump. In sostanza l'Ue può aspettare.
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