
I dazi aprono a una globalizzazione nuova tra l'Occidente e l'Asia, su basi paritarie in luogo della cooperazione che favoriva la crescita dei Paesi emergenti. Noi europei dobbiamo accettare che siamo parte dell'Occidente e atteggiarci di conseguenza.
Quando nel '95 fu istituito il Wto sapevamo cosa non c'era più: il mondo diviso in due blocchi antagonisti, su cui le due superpotenze esercitavano la propria egemonia con capitali e industrie e all'occorrenza con elicotteri e carri armati. I Paesi-non-allineati erano l'anomalia che confermava la regola.
Il blocco occidentale nato dalle ceneri della guerra faceva capo agli Stati Uniti che avevano i capitali, le imprese e l'interesse a finanziare la ripresa dei Paesi distrutti dal conflitto, affinché diventassero una grande area di prosperità reciproca, in una sorta di colonialismo industriale. Dimostrò di funzionare piuttosto egregiamente, in Europa come in Giappone, tanto che Nixon e Kissinger gettarono le basi per allargare il sistema a 1,4 miliardi di cinesi perché potessero lavorare, produrre e consumare. Poi Reagan senza bombe atomiche iniziò a esercitare una pressione economica che, con l'aiuto di un Papa e un sindacato entrambi polacchi, portò al collasso un'Unione Sovietica già in declino di suo, per l'incapacità del modello socialista di creare ricchezza.
Terminato l'antagonismo politico, non restava che lasciare campo libero all'economia. Prese forma l'idea che da lì in avanti il modello occidentale capitalistico potesse solo espandersi, facendo crescere economicamente quelle aree che ancora non partecipavano al banchetto dei consumi. Come capita sovente quando ci sono di mezzo gli americani, per i quali il resto del mondo è fatto di americani che non vivono in America, immaginarono che gli altri popoli non vedessero l'ora di cogliere una simile opportunità.
Peccato che quegli abitanti non vengano da una cultura greco-cristiana centrata sulla dignità dell'individuo, non abbiano elaborato né l'umanesimo né l'illuminismo e preferiscano aggregarsi attorno a un'idea religiosa che rifiuta i valori del benessere e dei diritti, fino a scatenare una guerra asimmetrica chiamata terrorismo e deflagrata nelle Due Torri. Questo non l'avevamo previsto, come non avevamo previsto che le economie emergenti sarebbero emerse e anche bene, esprimendo non solo un'offerta di risorse e manodopera e una domanda di consumi, ma anche un'industria e una finanza proprie, che brigano per diventare alternativi al sistema occidentale. A cominciare dai Brics alternativi al G7, proseguendo con la Belt-and-Road, progetto infrastrutturale cinese su 140 Paesi, con l'Asia Infrastructure Investment Bank in alternativa alla Banca Mondiale e all'FMI in vista di una de-dollarizzazione, fino alle partnership con Russia e Iran. È Trump la causa dei dazi, sul serio?
L'altra previsione mancante riguarda l'impatto che il nuovo assetto industriale e commerciale avrebbe avuto all'interno delle nostre società, in America come in Europa. Da un lato la delocalizzazione: le fabbriche in Asia e gli operai a casa. Dall'altro il low cost. Senza una manifattura pagata poco dall'altra parte del mondo, mantenere il nostro tenore di vita avrebbe imposto di guadagnare di più e dunque sudare di più. Invece abbiamo potuto consumare come dei ricchi, lavorare il giusto e dedicarci allo spirito. In altre parole, ci siamo rammolliti un bel po' proprio mentre gli altri si rafforzavano.
Questa la storia, che insegna due cose. I grandi cambiamenti mondiali possono anche accadere in poche settimane, ma solo se da tempo sono venute meno le condizioni su cui poggiava lo status quo ante. Quindi, c'è poco da prendersela con Trump, a meno che non vogliamo giocare alle freccette per passare la serata al pub e chissenefrega di capire il commercio mondiale, portaci un'altra birra. Se capiamo che lo shock dei dazi non è frutto di un pazzo e che un pazzo non diventa prima miliardario, poi presidente degli Stati Uniti e dopo ancora presidente degli Stati Uniti, allora possiamo anche capire che non si tratta di una congiuntura, tipo il Covid, dove lo status quo dev'essere preservato a tutti i costi. Ciò detto, sia altrettanto chiaro che i dazi non riporteranno a casa le fabbriche. Sì, c'è in corso un re-shoring dai tempi del Covid, ma le filiere produttive sono ormai troppo globalizzate e interconnesse per ipotizzare molto di più. Però indeboliranno l'economia cinese, fondata troppo sull'export e poco sulla domanda interna, e mandano un messaggio forte e chiaro.
Quell'ordine globale in cui gli occidentali consumano e portano ricchezza alle fabbriche asiatiche è terminato e il nuovo non ce lo porta il corriere, lo dobbiamo costruire e su basi diverse. Il mondo non è più da un pezzo quello di prima, con l'occidente sviluppato e avanzato che poteva guardare gli altri dall'alto della sua ricchezza, di benessere, di consumi, di brevetti, di ricerca e sviluppo, di università, di civiltà avanzata. Adesso quei Paesi ci guardano negli occhi.
Se la filosofia della nuova politica commerciale non sarà più la cooperazione per la crescita dei paesi emergenti, grazie abbiamo già dato, allora sarà la competizione con essi. Un tutti-contro-tutti in senso commerciale, in un mercato libero dove se le ragioni economiche spingono le fabbriche dove siano avvantaggiate da fattori di produzione, energia e norme, quelle della politica tendono a bilanciare usando la leva del prezzo, i dazi.
Noi europei siamo stati più bravi degli americani sui prodotti ad elevato valore aggiunto, tipo cibo, moda e meccanica di precisione e la bilancia commerciale ce lo riconosce. Ma a parte questo, le nostre società sono state colpite dalla globalizzazione allo stesso modo e la partita americana è anche la nostra partita. Com'è che non lo capiamo? O forse non lo vogliamo capire. A ben vedere, reagire ai dazi americani pensando di gettarci ancor più nelle braccia degli asiatici, addirittura rimpiangendo l'uscita dalla Via-della-Seta, è la cifra della postura europea.
Noi l'industria la ostacoliamo e il Green Deal lo testimonia, per restare aggrappati a un'idea di mondo come vogliamo che sia, dove ci staremmo confortevolmente bene e che suona più o meno così: noi europei siamo talmente evoluti e ricchi, di una ricchezza eterna, che non dobbiamo preoccuparci di guadagnarci da vivere in competizione con gli altri popoli, anzi si arricchiscano pure che a salvare l'ambiente e il pianeta ci pensiamo noi, anche se non pesiamo niente. Altro che dazi!
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