Niente contagi né vittime: è il "ground zero" del Veneto

Per la prima volta nella Regione non si registrano nuovi infetti o decessi. Zaia: "Bravissimi i cittadini"

Niente contagi né vittime: è il "ground zero" del Veneto

È il «ground zero» del Veneto. Il Veneto ce la fa. Una delle regioni più colpite. Qui il 21 febbraio scorso scoppiò tutto. Qui ci fu la prima vittima italiana di Coronavirus. Adriano Trevisan, il pensionato di 77 anni di Vo'Euganeo. Ancora ricordiamo quel giorno. Quando partì tutto, le misure drastiche, il panico della gente, i medici chiusi dentro l'ospedale di Schiavonia, Vo'Euganeo blindata, l'arrivo dei militari, l'esercito, sembrava la guerra. Il Giornale andò subito a documentare. Mesi difficili, tosti per tutti, neri, cupi, angosciosi. Ma ieri. Ieri i numeri del Covid erano a quota zero. Zero morti. Zero positivi.

Uno: quello del giorno prima. Che ci avesse visto giusto Luca Zaia quando disse che se i dati epidemiologici e i numeri si fossero mantenuti come quelli di una settimana fa allora eravamo sulla buona strada, nessuno può negarlo. Una regione tra le prime a riaprire sostanzialmente tutto. A fine aprile qui il 40% delle aziende lavorava: misure di sicurezza, visiere, mascherina, distanziamento, controllo temperatura. Le strade cominciarono a riempirsi e il rumore era diventato un piacere. Lo è ancora. Solo che ora è più grosso. Si sente. Fa baccano. La gente corre. Due le parole d'ordine: ricostruire e ripartire. Il 26 aprile con un'ordinanza regionale, il Veneto riscoprì la libertà. Con l'apertura di bar e gelaterie, ma solo per asporto, le piazze si riempirono di famiglie in coda per il gelato. Il giorno dopo, un altro strappo, Zaia autorizzò lo spostamento all'interno della regione, per chi avesse seconde case o imbarcazioni fuori del comune di residenza. Autorizzò anche l'attività motoria all'aria aperta, da soli, a piedi o in bicicletta con l'obbligo di indossare guanti e mascherine. Di fatto qui è da fine aprile che si vive. Le città e i paesi iniziarono a riempirsi. Solo Venezia rimase deserta. Il 18 maggio si autorizzarono anche gli spostamenti tra le provincie confinanti tra le regioni, e quindi Friuli Venezia Giulia, Emilia, Trentino.

Non sono mancate le polemiche. Gli attacchi. I cittadini, come li definisce il «governo», irresponsabili. Quando riaprirono i locali la movida divenne un incubo. Molti salutarono il lockdown annacquando mezzo bicchiere di alcol, mezzo di prosecco, Aperol e Campari, in coda verso il mare o in piedi nelle piazze. E poi via l'obbligo della mascherina dal primo giugno, ma solo all'aperto. Tanto che il governatore ha chiesto di poter usufruire dei mezzi pubblici nella loro capienza totale, ossia occupando tutti i posti, ma indossando la maschera. Insomma un Veneto che vede la luce e che ieri per la prima volta non ha visto crescere i numeri del contagio e nemmeno dei morti. I positivi rimangono fermi a 19.183, 1.085 quelli attuali. I decessi tra morti ospedalieri e non sono 1954. Nelle terapie intensive ci sono 16 persone, di cui soltanto uno è Covid. «I veneti sono stati bravissimi - ha detto Zaia - il virus lo abbiamo sconfitto anche grazie ai loro comportamenti». La Protezione civile nazionale in serata ha dichiarato che in Veneto ci sarebbero stati 1 positivo e 5 deceduti. Ma dal report aggiornato alle 8 del mattino di ieri, i positivi erano 0 e i morti anche. L'assessore regionale Gianpaolo Bottacin, contattato al telefono, ha così commentato: «È un dato statistico che non dice nulla, la Protezione civile nazionale non so cosa dica e non mi interessa».

Con questo clima, Zaia si prepara per aprire le fiere, e per far andare i cittadini a votare. Intanto il 15 giugno il primo concerto d'Italia. Red Canzian in piazza dei Signori a Treviso. La mascherina obbligatoria solo al chiuso. E per i plexiglas a scuola? Non se ne parla.

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