Rabbia e apprensione. E poi un senso di ingiustizia e solitudine. È stato un anno duro per gli ebrei italiani. L'ostilità è esplosa subito dopo il 7 ottobre - prima ancora della reazione di Israele. «Io l'ho percepita questa ostilità - racconta Davide, avvocato milanese - l'aperta avversione l'avevo già conosciuta ben prima del 7 ottobre, ora però, il senso di isolamento è aumentato, perfino alcune persone che credevo amiche fanno fatica a tendermi una mano». «In quest'anno - prosegue - senza che lo avessi pianificato, i miei rapporti al di fuori del lavoro sono stati quasi soltanto con altri ebrei. Inoltre, mi guardo bene dall'indossare ancora una kippah in pubblico. Non c'è un clima che mi permette di farlo e non so se mai tornerà».
«Mi sento tradito e offeso da tutti coloro che in Italia non hanno capito la gravità dell'attentato che abbiamo subito, ma anche la gravità di ciò che ha preceduto e seguito il 7 ottobre - racconta Stefano Scaletta (foto in alto), storico, autore di studi importanti sulla Brigata ebraica - Sulla nostra pelle viviamo una nuova ondata di antisemitismo che ci fa male come israeliani, ebrei, italiani». Scaletta vive a Tel Aviv e ha doppia cittadinanza. «Nessuno - dice - accetterebbe una quotidianità fatta di minaccia e tentativi di annientarci e annientare Israele. Ed è assurdo che qui, in un Paese che ha conosciuto le leggi razziali ci siano manifestazioni che inneggiano al 7 ottobre. Per noi è come se si inneggiasse alla camere a gas».
In molti si fa largo la convinzione di essere stati traditi proprio da quanti - ipocritamente - si proclamavano custodi della memoria. «Del 7 ottobre io ricordo l'ansia - racconta Nathan Greppi (foto), giornalista di Mosaico, portale della Comunità di Milano - Tutte le nostre paure si sono intensificate, ma quel che mi ha ferito è stata la freddezza, l'ostilità di persone che credevo amiche. Ho ricevuto solidarietà da destra e sinistra ma alcuni che conoscevo da tempo hanno assunto il tono accusatorio di chi dice: La colpa è vostra se vi odiano. Le persone che magari si ergono a paladine di ciò che è giusto mi hanno dato una pugnalata alle spalle. Questa ostilità la avvertono soprattutto gli studenti, e a volte non denunciano neanche per paura di non essere creduti. Ho ricevuto la testimonianza di una ragazza che portava il maghen David sul tram ed è stata circondata da dieci di questi ragazzotti e minacciata». La paura non fa velo all'orgoglio dell'identità. «La sensazione che prevale in me è la rabbia per il fatto che nessuno sembra capire quanto sta succedendo - dice Ester che a pochi mesi di vita fu perseguitata e deportata - Vedo questi manifestanti e non sanno neanche loro per cosa protestano. La nostra vita? Qui non è cambiata molto, i figli mi dicono di essere discreta, ma la stella di David che porto al collo io non la toglierò mai. Ho dovuto mettere dentro la mezuzah. So che nell'ultimo anno 10-15mila ebrei hanno lasciato la Francia per Israele.
Anche a Roma alcune famiglie romane hanno fatto la stessa scelta. Per noi Israele è come una casa, qualsiasi cosa accada sappiamo che c'è un luogo al mondo in cui nessuno potrà dirci: per voi qui non c'è posto. Il mio sbaglio è stato non andarci quando potevo, quando era il momento».
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