Dopo quello già espresso ad agosto, il secondo no della Procura di Milano è arrivato ieri. Un altro diniego - reiterato e per questo quindi ancora più perentorio e tassativo - all'istanza, inoltrata dalla difesa, per far entrare in carcere, a San Vittore, un docente (tra quelli pre-selezionati appunto dai legali Solange Marchignoli e Luca D'Auria) in grado di redigere una consulenza neuroscientifica sulle condizioni di Alessia Pifferi. Parliamo della mamma italiana 37enne residente nel quartiere di Ponte Lambro e arrestata dalla squadra mobile a fine luglio con l'accusa di omicidio volontario aggravato dopo che aveva lasciato morire di stenti la figlia di quasi 18 mesi, Diana, abbandonandola sola in casa per sei giorni.
Il gip Fabrizio Filice, quindi, respinge anche questa seconda richiesta a cui si erano già opposti i magistrati titolari dell'inchiesta, il pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro, che l'hanno discussa in udienza il 28 settembre. Nonostante le ampie memorie presentate dai legali della Pifferi in Procura a Milano abbiano sottolineato che la perizia richiesta per la loro assistita non riguarderebbe valutazioni sulla capacità di intendere e di volere della donna al momento del fatto, ma punterebbe a sondare il cosiddetto «elemento soggettivo del reato», ossia il tipo di dolo o eventualmente di colpa (ipotesi meno grave) nei comportamenti avuti.
Respingendo questa seconda istanza della difesa, il gip Filice si è espresso chiaramente su questo punto. L'analisi ricavata da una consulenza di questo genere, scrive infatti il gip, «potrebbe condizionare, una volta veicolata nel processo con una relazione» della difesa, il «necessario processo interpretativo del giudice, pretendendo di ancorarlo a un dato scientifico», piuttosto che a una «valutazione dell'intenzione della donna, che ha agito in quel modo «(...)tratta dai dati di manifestazione esterna della sua condotta».
E il giudice per le indagini preliminari insiste: «Anche dopo l'ingresso in carcere, come attestano le relazioni del Servizio di psichiatria interna (del carcere di San Vittore, ndr) la Pifferi si è sempre dimostrata consapevole, orientata e adeguata, nonché in grado di iniziare un percorso, nei colloqui psicologici periodici di monitoraggio, di narrazione ed elaborazione del proprio vissuto affettivo ed emotivo».
Secondo il gip per la madre 37enne infatti non sussistono «elementi fattuali» che possano agganciarsi a una sua pregressa «storia di disagio psichico». Segnale che per la Procura la donna sapeva quel che stava facendo.
Il giudice chiarisce infine che ci sono «suggestive adesioni in campo accademico» sul fronte dell'utilizzo delle neuroscienze, ma non si può permettere che una consulenza di questo tipo entri nel processo senza contraddittorio. E che se in teoria non si può escludere «una possibile utilità della prova neuroscientifica come supporto al processo decisionale del giudice», dovrà essere semmai proprio il giudice a disporre una perizia sul punto, sempre che la ritenga necessaria.
Intanto sempre ieri gli avvocati della donna hanno raccontato al Corriere.
it che, una settimana dopo la prima udienza in tribunale, la Pifferi, mentre stava raggiungendo una suora, è stata aggredita da alcune altre detenute che le hanno tirato i capelli e l'hanno schiaffeggiata. «Ha molta paura di quanto le sta accadendo» dichiara l'avvocato Marchignoli.
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