Sembra uno sberleffo, o una nemesi. Una guerriglia acida tra settuagenari ancora sulla breccia, e che non vogliono mollarla. You can't always get what you want, «Non puoi avere sempre quello che vuoi», dice il titolo della storica canzone dei Rolling Stones, e chissà mai per quale motivo Donald Trump, che tanto tiene a mantenere lustra la sua immagine di vincente, se l'è scelta come colonna sonora per i suoi comizi. Sta di fatto che il quasi settantasettenne Mick Jagger e i suoi tre irriducibili compagni di splendido rock senza età Keith Richards, Charlie Watts e Ronnie Wood non ci vogliono proprio stare: quella canzone (e più in generale tutte le loro canzoni) ai suoi raduni politici Trump non la deve far suonare, loro non gli danno il permesso perché non appoggiano la sua campagna elettorale, non può sempre avere quello che vuole, per l'appunto.
Una lite spiacevole, cominciata già in occasione della campagna trumpiana del 2016 e che rischia di proseguire presto in qualche aula di tribunale, dopo che anche gli eredi di un'altra icona del rock, Tom Petty, avevano invano diffidato il presidente degli Stati Uniti dall'utilizzare un brano del defunto musicista, questo tra l'altro con un titolo più appropriato alle sue ambizioni: I won't back down, Non mi farò da parte.
L'impopolare contrasto con i veterani della musica leggera è solo uno dei capitoli di una storia che sta andando di traverso al presidente Trump. Di una fase in cui, per dirla con il linguaggio semplice e diretto che è abituato a utilizzare con i suoi simpatizzanti, non gliene sta andando dritta una che sia una.
A partire dalla dilagante epidemia di Covid-19, per descrivere la quale si comincia a fare uso della preoccupante locuzione «fuori controllo». Proseguendo con i disastrosi sondaggi che indicano al momento in Joe Biden il sicuro vincitore delle presidenziali del prossimo 3 novembre. E continuando con gli imbarazzanti sviluppi delle rivelazioni d'intelligence secondo cui Trump era informato da mesi della taglia sulle vite dei soldati americani che la Russia aveva offerto ai talebani dell'Afghanistan. Tutte brutte notizie per il presidente-tycoon, che ha un bell'affannarsi a cercare di bollarle com'è abituato a fare oramai quasi in automatico come fasulle.
A proposito della campagna elettorale, è sempre più evidente che il relativo silenzio che Biden sta osservando giovi allo sfidante democratico del presidente in carica, ed è altrettanto evidente lo sforzo che questi sta compiendo per «stanarlo» e farlo parlare, nella speranza che mostri i suoi limiti e pronunci qualcuna delle sue famigerate gaffe. Biden si gode sornione il suo attuale vantaggio calcolato in circa 14 punti percentuali, e si guarda bene dal far sentire la propria voce oltre il minimo indispensabile: lo stesso Trump nei giorni scorsi ha dovuto ammettere che il suo avversario rischia di batterlo soprattutto perché lui personalmente non è molto amato da troppi americani. Il presidente con le spalle al muro alza la voce, e non risparmia le provocazioni: «Biden è troppo stupido per vincere», ha ringhiato ieri in uno dei suoi tweet, nel quale ha anche cercato di galvanizzare il suo pubblico dell'America profonda, quella che parla poco ma che alla fine vota per lui («La maggioranza silenziosa è viva e vegeta, i sondaggi sono manipolati, noi vinceremo queste elezioni alla grande»). In privato però, secondo il sito Politico, Trump comincia ad ammettere con i suoi consiglieri che il rischio sconfitta è molto concreto.
A fare le spese di una traiettoria che potrebbe condurlo tra quattro mesi a una disfatta cocente sembra al momento destinato il suo stratega Brad Parscale, considerato il responsabile del flop imbarazzante del comizio di Tulsa, in quel palazzetto mezzo vuoto dove echeggiavano le note beffarde di You can't always get what you want.
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