Lo incontriamo ventiquattr'ore prima dell'uscita del suo ultimo film (Dieci giorni con i suoi, di Alessandro Genovesi con Valentina Lodovini) e già questo è un momento ingrato per uno che ha un Superio che lo attende dietro alla porta con un'accetta in mano. Non importa in quante cose sia riuscito, ogni volta Fabio De Luigi va in ansia: «Come vuole che ci si senta? Sotto esame...». Perché, è uno che «ragiona e si tormenta». In più siamo a Milano, sotto il cielo plumbeo di una uggiosissima giornata da «passatelli» (piatto tipico del suo Santarcangelo di Romagna da mangiare immerso in un consolante brodo che lui, a suo dire, cucina benissimo). Parla volentieri dell'ultima fatica cinematografica (che nel frattempo... è prima al botteghino!) ma è conservativo sulla sua famiglia d'origine e ancor di più su quella che si è costruito assieme alla compagna, l'ex modella Jelena Ilic, e che è composta da loro due e dai figli Dino e Lola (gli piacciono «i nomi brevi e fuori moda»). Quindi dell'Olivetti del suo «babbo» con la quale scrisse il primo lavoro da presentare alla Zanzara d'oro da cui tutto ebbe inizio, ci si sposta subito di argomento.
Baseball, karatè, liceo artistico, militare nell'Areonautica, attore comico, regista... e interista. Mentre leggevamo dei suoi talenti ci si è scaricato l'evidenziatore.
«Beh, talenti... Diciamo che mi faccio trascinare dai miei interessi. Poi nel baseball, non creda: non ero esattamente il Lautaro della mazza».
Già, Lautaro... Come mai è interista?
«A un certo punto chiesi a mio fratello più grande secondo te per che squadra devo tifare? e lui mi suggerì l'Inter. E in effetti è quella che mi assomiglia di più. L'Inter, soprattutto all'epoca, era un riassunto della vita: sorprendente, mai noiosa, completamente priva della certezza di vincere, forte di qualche ricchezza che si alternava alla più nera povertà».
Variegata, come i suoi interessi.
«Mi faccio trascinare dalle mie passioni. Poi ogni tanto il talento si unisce alla fortuna e allora le cose vanno».
Quali cose?
«Riuscire a far ridere gli altri. Che è ciò che ho sempre amato di più. Una risata ci salverà».
Quante volte un battuta l'ha salvata nella vita?
«Sempre. La battuta è un salvagente, ed è una forma di difesa verso se stessi prima ancora che verso gli altri. Il fatto di riuscire a cogliere, in pochi secondi, un'altra angolatura, il lato comico di una situazione che gli altri non vedono o impiegano più tempo vedere è una fortuna immensa».
Dice anche che è importante non prendersi sul serio prendendosi molto sul serio.
«Nel senso che bisogna fare le cose per bene. I comici sono alcune tra le persone più serie che io conosca».
La sua che tipo di comicità è?
«Una comicità più di reazione che di azione».
Il film che aderisce di più alla sua comicità?
«Forse La peggior settimana della mia vita di Alessandro Genovesi, quello è il mio mondo comico».
È pronipote di Tonino Guerra, che tra le moltissime cose importanti che fece si ricorda anche per quello slogan «L'ottimismo è il profumo della vita»: non proprio il suo approccio...
«Io sono realista, nella vita mi preparo all'impatto, se poi tutto fila liscio tanto meglio. Diciamo che ho un atteggiamento molto responsabile nei confronti delle cose».
Per questo si dice «bravo» solo ogni tanto e a bassa voce?
«Non mi piace soffermarmi su ciò che ho fatto. Per questo anche quando interpretavo i miei personaggi (Olmo, Medioman, etc, ndr) li lasciavo andare quando ancora il pubblico li apprezzava».
Che tipo di padre è?
«Cerco di proteggere i miei figli più che posso, da tutto. A partire dal mio lavoro e dalle conseguenze che porta. Già tutti noi dobbiamo fare i conti con la figura della madre e del padre, che rischiano di essere ingombranti. Ma se per di più uno fa un lavoro assurdo come il mio, rischia di metterli ancora più in difficoltà. Gli organismi in evoluzione sono delicatissimi. Per questo ho messo una distinzione così netta tra il mio pubblico e il mio privato».
Un momento dell'ultimo set?
«Sono riuscito a far incazzare una mucca. Guardi che ce ne vuole eh... sono buonissime, in India sono pure sacre e non per niente si dice sguardo bovino. Eppure mi ha sferrato un calcio laterale che mi ha quasi rotto la gamba. Era la scena in cui dovevo farla partorire, io in effetti avevo la faccia a pochi centimetri da un trattato di anatomia. E lei non ne ha potuto più. Aveva ragione Genovesi».
Da che punto di vista?
«Nell'insistere che bisogna diffidare dai buoni. Suo figlio glielo dice sempre Papà, stai attento perché io sono buono».
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